UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE MUSICOLOGICHE E PALEOGRAFICO- FILOLOGICHE

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Touch of Evil tra restitutio textus e restauro creativo

 

Federica Rovelli

 

Università degli Studi di Cagliari

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È noto che la gestazione e le trattative precedenti la distribuzione dei film di Welles produssero spesso testi poco aderenti alla volontà del regista. Non costituisce un’eccezione il caso di Touch of Evil, la cui direzione venne affidata a Welles quasi casualmente – in seguito a un malinteso tra la Uni­versal e Charlton Heston –, per essergli successivamente sottratta nelle ultime fasi di post-produzione; la versione licenziata dalla casa cinematogra­fica nel 1958 fu quindi distribuita senza il suo consenso. Ciononostante la paternità del film non parve mai messa in discussione da pubblico e critica. Significativa, e forse all’origine di tale fraintendimento, fu la presa di posi­zione di André Bazin che, riconoscendo nell’opera uno dei vertici della produzione wellesiana, la pro­clamò primo esempio di un nuovo cinema dell’ambiguità (Bazin [1958] 2005, pp. 172-6). Negli anni successivi Touch of Evil venne restaurato per due volte con l’intenzione di offrire una versione del testo maggiormente conforme alla volontà di Welles: le due nuove ver­sioni, distribuite rispettivamente nel 1976 e nel 1998, si imposero di volta in volta come punto di riferimento influenzando nuove generazioni di critici, cineasti, spettatori e divenendo oggetto di studi analitici. A questo proposito, e prima di addentrarsi in un discorso più specifi­camente audiovisivo, sarà utile ricapitolare le tappe che hanno portato alla distribuzione delle tre ver­sioni attualmente esistenti per comprendere su quale tipo di testo (o ‘testi’) si stia tentando di indagare.

La prima versione di Touch of Evil (1958) è il risultato dell'estromis­sione di Welles dal progetto, voluta del vicedirettore della Universal Edward Muhl che, in accordo con Jonathan Rosenbaum – allievo del regi­sta –, or­dinò a Ernst Nims di rimontare il film, a Harry Keller di girare quattro nuove scene per chiarire la trama della narrazione, disponendo la chiusura della post-pro­duzione (Leeper 2001, p. 227). Welles poté visio­nare il risultato di questa operazione una sola volta senza interruzioni e, amareggiato per molte delle scelte effettuate, scrisse di getto il celebre dos­sier di 58 pagine, ripor­tante indi­cazioni precise per 50 modi­fiche (Welles [1957] 2008). Per dovere di comple­tezza, e benché il dato venga spesso omesso, bisogna sottolineare che nello stesso dossier Welles non mancò di esprimere apprezzamento per il risultato conseguito in alcuni casi specifici, e che dal canto suo la Universal non si ri­fiutò totalmente di soddisfare le richieste avanzate dal regista, ritoc­cando più di una scena nella direzione indicata. La se­conda versione del film distribuita incarna il desiderio di restituire un testo più vicino a quello im­maginato dall’autore. Nei fatti, tuttavia, si tratta semplice­mente della stessa versione del 1958 ampliata attraverso il reinserimento delle scene tagliate da Muhl: il montaggio ri­mane dunque quello rimaneggiato da Nims. La terza versione, infine, fu licenziata da un’équipe che, sotto la supervi­sione del pro­duttore Rick Schmid­lin e con l’aiuto di Rosenbaum – il già citato allievo di Welles –, com­prendeva Walter Murch nel ruolo di sound editor, Bob O’Neil come direttore del laboratorio fotografico e Bill Varney a capo della sound crew. La nuova versione del film, definita dai suoi stessi artefici come un ‘re­stauro’, venne elaborata a partire dai seguenti materiali: la versione del 1976, costituita da un negativo della traccia video e da un master magnetico della trac­cia sonora con dialoghi, musica e effetti (DME), fu impiegata come vero e proprio copytext di partenza; la parte di negativo originale per il piano-sequenza iniziale, vale a dire privo dei titoli di testa sovraimpressi, fu ritrovata in una delle scatole contenenti la versione del 1976 e quindi sosti­tuita al frammento corri­spon­dente del copytext (Ondaatje, 2002, p. 186). A partire da questi materiali l’équipe tentò di apportare le 50 modifi­che se­gnalate da Welles nei suoi scritti. Molte indicazioni vennero desunte, oltre che dal dossier, da alcune annota­zioni, in particolare da nove pagine di sound notes indirizzate a Joe Gershenson (Tully 1999) – capo del music de­partment nel 1958 – e da alcune riflessioni scritte, in possesso di Nims. Le sound notes, redatte mentre il film veniva girato, conten­gono le indica­zioni utilizzate successivamente da Henry Mancini per la composizione della co­lonna sonora; Welles vi descrisse minu­ziosamente i generi di mu­sica da impiegare, per costruire il clima di frontiera caratteristico del film, e il crite­rio di distinzione tra background music – «[...] “realistica”, nel senso che è letteralmente eseguita durante l’azione» – e underscoring music – quella «[...] che accom­pagna l’azione e che non proviene da radio, night club o altro» – esprimendo la vo­lontà di riservare alla prima una posizione di netta preminenza sulla seconda (ibidem). Le anno­tazioni conservate da Nims sono citate unicamente in un’intervista a Murch (On­daatje 2002, p. 196): stando al racconto del sound editor, esse conten­gono alcune riflessioni di Welles sulle strategie adottate per l’uso del sonoro; pur­troppo non è specificato a quali anni risalgano, è chiaro tuttavia che esse non furono scritte per Touch of Evil. So­spendendo momenta­nea­mente qualsiasi giudizio sulla validità dei criteri di restauro fin qui descritti, il primo scopo di questo contributo sarà quello di verificare in che modo la dimensione sonora sia stata coinvolta nei vari tentativi di ricostru­zione del testo e di evidenziare come le eventuali modifiche apportate si ripercuotano sul prodotto audiovi­sivo nel suo complesso. Una riflessione conclusiva, condotta alla luce degli esempi esaminati, sarà quindi dedicata al problema della restaura­zione/restituzione.