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Die Schachtel di Franco Evangelisti e la sua realizzazione cinematografica da parte di Gregory Markopoulos
Gianmario Borio
Università degli Studi di Pavia Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
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L’opera multimediale, la cui identità si costituisce attraverso l’interazione di parola, immagine e suono, si è affermata a seguito di un processo pluridecennale che riguarda la musica non meno che le altre arti performative. L’indagine che i protagonisti del teatro di avanguardia – da Jerzy Grotowski e Tadeusz Kantor a Julian Beck, da Peter Brooks a Eugenio Barba e Carmelo Bene – condussero sulla spazialità della rappresentazione, sull’espressione corporea degli attori e sulle possibilità della voce, rese fluidi i confini del teatro avvicinandolo alle problematiche di scultura, danza e musica. Un processo complementare ebbe luogo in campo musicale con la teatralizzazione dell’evento esecutivo. In Water Walk (1959) e Theatre Piece (1960) John Cage mostrò come l’azione scenica possa derivare direttamente dalla musica, come suono e immagine si lascino ricondurre a un principio unitario e infine come gesto e suono possano essere collegati mediante una scala di valori audiovisivi; Variations V (1965) e HPSCH (1969) prevedono forme di interazione tra le varie componenti attribuendo un ruolo chiave alle tecnologie elettroniche. Negli stessi anni Mauricio Kagel sviluppò il concetto di ‘teatro strumentale’ e realizzò cortometraggi basandosi su partiture precedentemente composte – per esempio Match für drei Spieler (Bizzaro 2007). In questi e altri compositori la sperimentazione in sede di teatro musicale partecipa a un processo di reciproca convergenza delle arti che può essere considerato un contrassegno delle avanguardie nella seconda metà del XX secolo (Adorno 1979 e 2004). Die Schachtel, l’«azione mimo-scenica» che Franco Evangelisti compose nel 1962-1963 su un’idea del pittore Franco Nonnis, rappresenta un episodio di notevole interesse nella protostoria dell’arte multimediale. L’orizzonte estetico e il repertorio tecnico si erano delineati con Intolleranza 1960 di Luigi Nono e Collage di Aldo Clementi (1961), due opere in cui è fondamentale la collaborazione del compositore con un pittore: Emilio Vedova nel primo caso e Achille Perilli nel secondo (De Benedictis 2001, 2007 e 2009; Lux-Tortora 2002; Tortora 2003). Nono e Clementi partirono dal riconoscimento dei limiti raggiunti dal teatro musicale, anche quello che gettava le sue radici nell’estetica espressionista. Tuttavia Nono – avvicinatosi a Majakovskij e Mejerchol’d grazie alla mediazione di Angelo Maria Ripellino e poi, su iniziativa propria, a Václav Kašlík e Josef Svoboda del Teatro Nazionale di Praga – non abbandonò completamente la concezione rappresentativa del dramma; per la sua «azione scenica» egli definì aree tematiche (l’intolleranza, l’oppressione, la tortura, la scissione dell’io) che fungono da centri di gravitazione per il testo cantato, la musica e la scena. Invece Clementi optò per una radicale formalizzazione del testo audiovisivo. Collage non prevede né trama né personaggi bensì ripercorre gli stadi di un processo fisico o alchemico: la trasformazione della materia fino all’apparire dell’homunculus e alla sua definizione mediante un complesso di segni. Quest’opera si inserisce nella tradizione dei balletti meccanici, ma al contempo la supera avvalendosi di espedienti tecnici già presenti in Intolleranza 1960 (piani semoventi e proiezioni di diapositive) e di mezzi provenienti dal teatro sperimentale dell’anteguerra (velatini, filmati, sagome, marionette e manichini). In Die Schachtel Evangelisti rinuncia, come Clementi, alla parola cantata, condividendo l’idea che «vocalismo e vicenda sono intimamente legati» (Clementi 1964, p. 65); egli spiega di avere scelto di collaborare con un pittore per evitare le conseguenze anche più indirette che sarebbero derivate dal rapporto con un librettista reale o immaginario: «Il soggetto non è di un poeta ma di un pittore poiché ritengo che sia ancora possibile far sopravvivere l’azione teatrale in musica soltanto come fusione tra atto visivo e quello sonoro non sollecitata da testi poetici» (Evangelisti 1964, p. 67). Tuttavia la parola in quanto dimensione della testura audiovisiva, lungi dallo scomparire, entra in gioco sia come materiale visivo (scritte e pagine di giornale) che come materiale acustico (voce fuori campo, registrazione di un count down, lettura dell’indice di borsa). L’impiego della parola, sebbene in forma non univoca e svincolata dagli abituali contesti di applicazione, permette di circoscrivere l’ambito semantico dell’opera, di determinare il suo riferimento al mondo. Esso si annuncia peraltro già nel titolo: la ‘scatola’ è un’allegoria del mondo totalmente amministrato di cui gli individui sono componenti funzionali e automatizzate, godendo di libertà puramente apparenti (Marcuse 1967; Ferrari 1996 e 2000). Evangelisti non rinuncia dunque alla presenza fisica dell’uomo sulla scena; i mimi non sono però personaggi emblematici, come in Nono, ma rappresentanti anonimi della società di massa; formalmente essi svolgono una funzione di rispecchiamento rispetto alla comunità di audio-spettatori, i quali pertanto percepiscono sé stessi come parte della situazione rappresentata. |