UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE MUSICOLOGICHE E PALEOGRAFICO- FILOLOGICHE

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Popular music al cinema: la rappresentazione dell’artista rock sul grande schermo

Alessandro Bratus

 

Università degli Studi di Pavia

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La questione riguardante le modalità del racconto del rock nel cinema pone interrogativi di grande interesse nel quadro del dibattito scientifico in corso sulla comunicazione audiovisiva e sulle sue metodologie di analisi. Capire quali configurazioni assuma il rapporto tra forma e sostanza, tra contenuto e contenitore, può aprire utili prospettive nell’analisi di un insieme di materiali che non è ancora stato sottoposto a un’indagine specifica sull’organizzazione strutturale del suono e dell’immagine. Nonostante l’eterogeneità dal punto di vista dei generi e delle tecniche di regia, tali pellicole sembrano rappresentare un insieme provvisto di caratteri unitari; i valori espressi, come anche procedimenti narrativi e formali simili, sembrano porre le basi per un linguaggio condiviso, basato sulla presenza di situazioni e strategie ricorrenti.

1. La riflessione sul direct cinema come base teorica per l’analisi del film rock

Come riconosce Keith Beattie nella sua panoramica storico-critica sul genere del documentario, la forma di direct cinema più popolare e efficace dal punto di vista commerciale è stata quella del cosiddetto ‘rockumentary’ (Beattie 2004, pp. 97-102). Questo genere di film ha dato l’avvio a un’importante evoluzione all’interno di questa tendenza cinematografica, specialmente nello sviluppo di una «decisa revisione rispetto alla tendenza originaria verso la pura osservazione» (ivi, p. 102) e nell’elaborazione di alcuni elementi stilistici che, da questo momento in poi, diventeranno parte integrante del linguaggio della maggior parte dei film collegati al mondo del rock. Secondo Dave Saunders la vicinanza tra tale tendenza e il mondo della popular music sarebbe non solo una scelta estetica, ma segnalerebbe un passaggio fondamentale nell’evoluzione storica di tale tecnica, durante il quale questa acquisì autonomia artistica distaccandosi dalla concezione di mero reportage (Saunders 2007, pp. 52-53). Nel contesto degli anni Sessanta, momento cruciale per la ridefinizione di nuovi significati all’interno delle forme artistiche per effetto dei media elettronici, l’unione della musica rock con un’impostazione registica innovativa può essere interpretata come un tentativo di affrontare un soggetto che, per le sue caratteristiche, non può più essere narrato attraverso dispositivi consueti. Prendendo in esame tale legame, David Baker (2005) sostiene che il canale di comunicazione privilegiato sia espresso dalla condivisione di alcune idee di fondo (mobilità autenticità, libertà), che si possono sintetizzare nel comune riferimento al concetto di transitività, come illustrato nella Tabella 1.

TRANSITIVITÀ

DIRECT CINEMA

ROCK

Mobilità

telecamera a spalla, accesso al backstage (spontaneità, ricerca del “vero” performer)

idea di velocità e trasformazione (personale e sociale)

Libertà

libertà d'accesso per la telecamera

edonismo, ricerca dei grandi spazi, stili di vita alternativi

Autenticità

relazione non mediata nella presentazione della “verità” catturata dalla telecamera

relazione non mediata con il proprio pubblico, coerenza con il proprio personaggio

Tabella 1. La transivitità e i suoi valori nel contesto del direct cinema e del mondo del rock.

A partire da tali coordinate, si può proporre un insieme di parametri come chiave analitica a più ampio raggio per inscrivere all’interno di un unico campo concettuale i film che hanno come oggetto la popular music e i suoi protagonisti. Mettendo in relazione queste idee con le caratteristiche tecniche, formali e fattuali delle pellicole analizzate (Tabella 2), a ognuna delle tre dimensioni ideali proposte da Baker è stato fatto corrispondere un continuum di possibilità. Si viene a modellare così uno spazio unitario – definito dalla transitività – all’interno del quale possono trovare posto le più diverse modalità di narrazione del rock sullo schermo.



Tabella 2. Il campo della transitività  tra valori ideali e scelte registiche.

Dal punto di vista dell’analisi audiovisiva tale schema teorico opera a livello di quelle che Nicholas Cook chiama «sinestesie culturali» (1998, p. 49), in cui suono e immagine sono «connessi l’una all’altro non direttamente, ma attraverso la loro comune associazioni con valori concettuali o emozionali» (ivi, p. 55). In altre parole, la musica è trattata solamente come un collettore di valori e idee, ma lascia ancora scoperto il livello analitico riguardante le strategie di organizzazione del suono in rapporto all’immagine, e viceversa. Quest’ultima caratteristica rappresenta la logica controparte della costruzione concettuale presentata nella tabella precedente: in tale contesto i valori citati denotano quella che Richard Middleton chiama ‘significazione secondaria’. Il livello strutturale del testo è invece legato a processi di significazione primaria, in cui tali costrutti ideali interagiscono dialetticamente con le modalità di presentazione dell’audio e del video (Middleton 1994, pp. 300-326). In un campo in cui i rapporti tra le dimensioni mediali non hanno una gerarchia fissa, ma sono mutevoli a seconda dell’oggetto analizzato (Borio 2007), interpretarli alla luce di una simile concezione, indagando la relazione tra valori e dispositivi formali, può essere la chiave per comprendere all’interno di un unico impianto teorico la pluralità esiti riscontrabili nel film rock.