UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE MUSICOLOGICHE E PALEOGRAFICO- FILOLOGICHE

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An Index of Metals di Romitelli/Pachini: un saggio astratto-materico multimediale sulla corruzione

 

Stefano Lombardi Vallauri

 

IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione

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Si considerino anzitutto due delimitazioni terminologiche preliminari:

  1. nella categoria trasversale di ‘video astratto’ si possono radunare vari generi: 'cinema astratto’ e ‘visual music’, videoarte astratta, cinema d'animazione astratto, computer graphics astratta ecc. Sebbene sto­ricamente e tecnicamente distinti, essi nondimeno condividono la qualità essenziale dell'astrazione, quale essa viene normalmente concepita in ambito pittorico in rapporto ai movi­menti astrattisti del primo Novecento, nella sua applicazione però all'immagine in movi­mento;
  2. come Nicholas Cook denomina ‘musical multimedia’ un multime­dia «in which music plays a constitutive role» (Cook 1998, p. VI), analo­gamente si può definire ‘videoarte musicale’ un tipo di vide­oarte «in cui la musica svolge un ruolo primario e riveste un'importanza essen­ziale. La gran parte della videoarte infatti è provvista di musica, ma non può ciononostante definirsi propria­mente videoarte musicale (in ogni caso il confine tra i due tipi non è netto)» (Lombardi Vallauri 2009, p. 144).

Si colloca nell'intersezione di questi due insiemi – video astratto e video­arte musicale – un lavoro come An Index of Metals, che coordina la musica a un livello quanto meno paritario col video, e che rinuncia quasi comple­tamente sia alla narrazione sia, più radicalmente, alla rappresentazione (tipiche e necessarie invece nel cinema tradizionale). L'aspetto formale della parte video di An Index of Metals, infatti, ancorché derivante da ri­prese originarie concrete (di stati e conformazioni varie del metallo), è astratto nel risultato: tanto mate­rico, e soggetto a tali elaborazioni infor­matiche (esattamente come un suono acustico trattato elettronicamente), da risultare perlopiù figurativamente inde­cifrabile.

In anni recenti il campo complessivo delle arti contemporanee registra – caso particolare del diffuso habitus multimediale – una forte tendenza al con­nubio tra musica e video astratto. Si tratta di una tendenza trasversale che interessa tanto l'ambito della produzione accademica, con le sue manifesta­zioni in rassegne e festival sostenuti al livello istituzionale, quanto l'ambito popolare, nelle sue pratiche – gratuite o commerciali – social­mente più perva­sive. Fin dall'inizio tutte le principali esperienze compiute in questa direzione furono fatte da parte del video come consapevole emu­lazione del carattere astratto peculiare della musica: come Kandinskij trasse ispirazione dallo sta­tuto naturale della musica per la sua nuova con­cezione in pittura (Kandinskij 1979, pp. 21-23), così si modellavano sulla musica anche tutti i primi e i princi­pali saggi di cinema astratto (Proven­zano 1992).[1] Tuttavia gli sviluppi degli ultimi anni mostrano motivazioni e pratiche anche differenti. Più di quanto accadesse in passato, oggi l'appro­priazione di un medium ‘secondo’, distinto da quello della prima specializzazione tecnica di un artista, avviene a partire anche dalla musica: sempre più sovente sono i compositori, maestri e profes­sionisti dell'orga­nizzazione del suono, a decidere di praticare anche il video, avvalendosi dell'ausilio di esperti ma pure in veste di autori diretti.

Un'osmosi tra gli artigianati del compositore e del videasta era con­sentita già dallo strumentario dell'elettronica pre-digitale, sviluppato sul fronte musicale intensivamente a partire dagli anni Quaranta del Novecento.

Il confine che definisce la musica elettroacustica non è dunque nettis­simo. Pur senza confondersi ancora con le pratiche limitrofe – la musica popolare, la radio, la registrazione – essa condivide con loro apparec­chiature tecniche e procedimenti, e di conseguenza un vocabolario. I ge­neri si fiancheggiano, ma anche le persone; e il compositore elettronico dispone di competenze che spesso lo avvicinano di più alla radio o ai tec­nici dell'immagine che non a quelli della scrittura per orchestra (Dela­lande 2001, p. 395, corsivo aggiunto).

La sperimentazione condotta sul suono da Pierre Schaeffer in ambito ra­diofo­nico prendeva esplicitamente a modello il paradigma tecnico ed estetico del cinema (Schaeffer 1941-1942). Basti pensare, per esempio, alla composizione della dimensione formale delle durate, che in entrambi gli ambiti si effettuava mediante il montaggio materiale di frammenti di bo­bina, anziché come nella musica scritta tradizionale mediante simboli, segni in regime allografico (Good­man [1968] 1976, pp. 99-107). Nondi­meno l'avvento successivo della tecnologia informatica ha impresso un ulteriore fondamentale impulso a questa reciproca assimilazione tra le tec­niche. Decisiva è la nuova possibilità di ‘transcodifica’ digitale (Manovich [2001] 2002, pp. 67-71), per cui qualsiasi tipo di dato mate­riale (sonoro, video o altro) viene ridotto a un unico tipo di dato simbolico (il codice bi­nario): «al ‘livello culturale’ i media differiscono, mentre convergono nel ‘livello informatico’, dove vengono tutti ugualmente rappresentati e gestiti come forme numeriche» (Lombardi Vallauri 2009, p. 154n.). Soprattutto, per la prima volta nella storia, una codifica comune consente la traduzione ‘diretta’ di un tipo di dato materiale nell'altro, e ogni sorta di elaborazione incrociata: come materiale costruttivo il compositore può usare un'imma­gine, il videasta un suono; e sono analoghi gli algoritmi utilizzati nei software per l'elaborazione del segnale audio o video, ad esempio per il morphing tra due timbri o tra due volti umani (con ciò, non si consideri sminuita l'importanza essenziale dei differenti vincoli imposti ai media e ai generi artistici dalla loro specifica base psicopercettiva, biologicamente fondata nonché storico-culturalmente condizionata.) Il processo di ‘sfran­giamento’ (Verfransung) dei confini tra le arti già teorizzato da Adorno subisce una repentina accelerazione (Gennaro – Borio 2007, pp. 335-337), propiziata dal progresso tecnologico e dalle sue ricadute socioeconomiche (per via della sempre maggiore accessibilità dei mezzi produttivi).

Si posiziona consapevolmente nello scenario storico-estetico appena de­scritto l'operazione di An Index of Metals, presentata così dall'autore: «C'est le projet tout à fait original de penser conjointement le son et la lu­mière, la musi­que et la vidéo, d'utiliser timbres et images comme éléments d'un même conti­nuum soumis aux mêmes transformations informatiques» (Romitelli 2003). L'analisi che segue si propone di illustrare il modo in cui quest'opera importante della videoarte musicale italiana (che vanta già varie decine di repliche sui palcoscenici internazionali) realizza quel parti­colare tipo di integrazione audio­visiva che nasce dall'incontro tra musica e video astratto digitale (non è invece scopo di questo articolo l'esegesi ap­profondita di altri aspetti pur importanti del lavoro, come le condotte del video e della musica secondo i loro principi tecnico-stilistici interni, sepa­rati, o il rapporto tra queste stesse e il testo verbale).


[1] Anche la videoarte non astratta, per quanto spesso profondamente intrinseca alla musica (Gennaro – Borio 2007, pp. 349-350), in quanto pratica sociale vive prevalentemente nel campo delle arti visive.