Pagina 1 di 4 An Index of Metals di Romitelli/Pachini: un saggio astratto-materico multimediale sulla corruzione
Stefano Lombardi Vallauri
IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
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Si considerino anzitutto due delimitazioni terminologiche preliminari:
Si colloca nell'intersezione di questi due insiemi – video astratto e videoarte musicale – un lavoro come An Index of Metals, che coordina la musica a un livello quanto meno paritario col video, e che rinuncia quasi completamente sia alla narrazione sia, più radicalmente, alla rappresentazione (tipiche e necessarie invece nel cinema tradizionale). L'aspetto formale della parte video di An Index of Metals, infatti, ancorché derivante da riprese originarie concrete (di stati e conformazioni varie del metallo), è astratto nel risultato: tanto materico, e soggetto a tali elaborazioni informatiche (esattamente come un suono acustico trattato elettronicamente), da risultare perlopiù figurativamente indecifrabile. In anni recenti il campo complessivo delle arti contemporanee registra – caso particolare del diffuso habitus multimediale – una forte tendenza al connubio tra musica e video astratto. Si tratta di una tendenza trasversale che interessa tanto l'ambito della produzione accademica, con le sue manifestazioni in rassegne e festival sostenuti al livello istituzionale, quanto l'ambito popolare, nelle sue pratiche – gratuite o commerciali – socialmente più pervasive. Fin dall'inizio tutte le principali esperienze compiute in questa direzione furono fatte da parte del video come consapevole emulazione del carattere astratto peculiare della musica: come Kandinskij trasse ispirazione dallo statuto naturale della musica per la sua nuova concezione in pittura (Kandinskij 1979, pp. 21-23), così si modellavano sulla musica anche tutti i primi e i principali saggi di cinema astratto (Provenzano 1992).[1] Tuttavia gli sviluppi degli ultimi anni mostrano motivazioni e pratiche anche differenti. Più di quanto accadesse in passato, oggi l'appropriazione di un medium ‘secondo’, distinto da quello della prima specializzazione tecnica di un artista, avviene a partire anche dalla musica: sempre più sovente sono i compositori, maestri e professionisti dell'organizzazione del suono, a decidere di praticare anche il video, avvalendosi dell'ausilio di esperti ma pure in veste di autori diretti. Un'osmosi tra gli artigianati del compositore e del videasta era consentita già dallo strumentario dell'elettronica pre-digitale, sviluppato sul fronte musicale intensivamente a partire dagli anni Quaranta del Novecento. Il confine che definisce la musica elettroacustica non è dunque nettissimo. Pur senza confondersi ancora con le pratiche limitrofe – la musica popolare, la radio, la registrazione – essa condivide con loro apparecchiature tecniche e procedimenti, e di conseguenza un vocabolario. I generi si fiancheggiano, ma anche le persone; e il compositore elettronico dispone di competenze che spesso lo avvicinano di più alla radio o ai tecnici dell'immagine che non a quelli della scrittura per orchestra (Delalande 2001, p. 395, corsivo aggiunto). La sperimentazione condotta sul suono da Pierre Schaeffer in ambito radiofonico prendeva esplicitamente a modello il paradigma tecnico ed estetico del cinema (Schaeffer 1941-1942). Basti pensare, per esempio, alla composizione della dimensione formale delle durate, che in entrambi gli ambiti si effettuava mediante il montaggio materiale di frammenti di bobina, anziché come nella musica scritta tradizionale mediante simboli, segni in regime allografico (Goodman [1968] 1976, pp. 99-107). Nondimeno l'avvento successivo della tecnologia informatica ha impresso un ulteriore fondamentale impulso a questa reciproca assimilazione tra le tecniche. Decisiva è la nuova possibilità di ‘transcodifica’ digitale (Manovich [2001] 2002, pp. 67-71), per cui qualsiasi tipo di dato materiale (sonoro, video o altro) viene ridotto a un unico tipo di dato simbolico (il codice binario): «al ‘livello culturale’ i media differiscono, mentre convergono nel ‘livello informatico’, dove vengono tutti ugualmente rappresentati e gestiti come forme numeriche» (Lombardi Vallauri 2009, p. 154n.). Soprattutto, per la prima volta nella storia, una codifica comune consente la traduzione ‘diretta’ di un tipo di dato materiale nell'altro, e ogni sorta di elaborazione incrociata: come materiale costruttivo il compositore può usare un'immagine, il videasta un suono; e sono analoghi gli algoritmi utilizzati nei software per l'elaborazione del segnale audio o video, ad esempio per il morphing tra due timbri o tra due volti umani (con ciò, non si consideri sminuita l'importanza essenziale dei differenti vincoli imposti ai media e ai generi artistici dalla loro specifica base psicopercettiva, biologicamente fondata nonché storico-culturalmente condizionata.) Il processo di ‘sfrangiamento’ (Verfransung) dei confini tra le arti già teorizzato da Adorno subisce una repentina accelerazione (Gennaro – Borio 2007, pp. 335-337), propiziata dal progresso tecnologico e dalle sue ricadute socioeconomiche (per via della sempre maggiore accessibilità dei mezzi produttivi). Si posiziona consapevolmente nello scenario storico-estetico appena descritto l'operazione di An Index of Metals, presentata così dall'autore: «C'est le projet tout à fait original de penser conjointement le son et la lumière, la musique et la vidéo, d'utiliser timbres et images comme éléments d'un même continuum soumis aux mêmes transformations informatiques» (Romitelli 2003). L'analisi che segue si propone di illustrare il modo in cui quest'opera importante della videoarte musicale italiana (che vanta già varie decine di repliche sui palcoscenici internazionali) realizza quel particolare tipo di integrazione audiovisiva che nasce dall'incontro tra musica e video astratto digitale (non è invece scopo di questo articolo l'esegesi approfondita di altri aspetti pur importanti del lavoro, come le condotte del video e della musica secondo i loro principi tecnico-stilistici interni, separati, o il rapporto tra queste stesse e il testo verbale). [1] Anche la videoarte non astratta, per quanto spesso profondamente intrinseca alla musica (Gennaro – Borio 2007, pp. 349-350), in quanto pratica sociale vive prevalentemente nel campo delle arti visive. |