UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE MUSICOLOGICHE E PALEOGRAFICO- FILOLOGICHE

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Il significato di Die Schachtel per lo sviluppo dell’arte multimediale si ma­nifesta particolarmente su due piani. Il primo riguarda le caratteristiche della partitura. Su fogli oblunghi di formato grande Evangelisti predispone otto strati contraddistinti con i seguenti termini: musica, mimi, voce dei mimi, voce, nastro magnetico, azione generale, luce, proiezioni e scritte. La parte mu­sicale è quella che presenta maggiori dettagli, mentre per le altre il compositore si limita a indicazioni sporadiche. Questa disparità può essere ricondotta al prevalere naturale delle specifiche competenze del compositore o segnalare una sua eventuale intenzione di lasciare maggiore libertà alla com­ponente visiva; ovviamente essa diminuisce la forza normativa della partitura ma non cancella il fatto che l’evento audiovisivo sia qui concepito come un’unità performativa le cui dimensioni sono integrate sul piano del tempo. Un secondo aspetto di interesse è che l’autorialità multipla – un tratto qualifi­cante, sebbene non condizione necessaria, dell’opera multimediale (Balzola 2004) – è diluita nel tempo. Infatti si individuano almeno tre artefici della di­mensione visiva: il pittore e scenografo Nonnis, che diede una prima definizione dell’argomento (forse propose anche il titolo) e in seguito pubblicò una «guida per una messa in scena» (Nonnis 1964); la coreografa Tatiana Massine, che preparò i mimi per un cortometraggio realizzato negli studi tele­visivi del Bayerischer Rundfunk di Monaco nel maggio 1968; Gregory Markopoulos, uno dei maggiori rappresentanti del New American Cinema, che eseguì le riprese e curò il montaggio (una copia del film si trova nell’archivio Franco Evangelisti a Roma. Un caloroso ringraziamento va a Irmela Heimbächer Evangelisti per avermi concesso di consultare questa fonte). Il contesto in cui avvenne questa produzione è emblematico per l’intersezione delle arti. Innanzitutto essa risale allo stesso periodo della registrazione disco­grafica di Die Schachtel nell’interpretazione dei solisti del Kammeroper di Monaco sotto la direzione di Eberhard Schoener (DGG Avantgarde 2561 106), con cui l’opera divenne nota al pubblico internazionale. Markopoulos realizzò la sua pellicola come parte di un progetto in cui erano incluse la messa in scena (presso lo Haus der Kunst) e la produzione cinematografica di (A)lter (A)ction di Egisto Macchi (Tortora 1998). In (A)lter (A)ction, opera che godette di un notevole favore presso la critica e fu programmata diverse volte nelle stazioni televisive tedesche, Markopoulos impiegò una tecnica di montaggio che mirava a una fusione dei piani spazio-temporali.

La «guida per una messa in scena» di Franco Nonnis dà una rappre­sentazione della testura audiovisiva disponendone le componenti in quattro colonne: «parlato ed effetti sonori», «azione mimica», «luci» e «proiezioni». Se da un lato può essere considerata come una prima versione della partitura polistratificata di Evangelisti, dall’altro lato essa offre una serie di informa­zioni aggiuntive, preziose per comprendere il senso delle componenti visive. Per la preparazione di una messa in scena è dunque auspicabile che il diret­tore d’orchestra e il regista consultino entrambe le fonti, coordinando le scelte e i tempi di esecuzione. Dalle testimonianze che ho raccolto (scambi di email con Robert Beavers e conversazione telefonica con Eberhard Schoener nel dicembre 2009) non risulta che Markopoulos abbia studiato queste fonti; tuttavia l’articolazione del film, che è percettibile malgrado la forma fram­mentaria, ripercorre significativamente le stazioni indicate da Nonnis ed Evangelisti:

A: Presentazione

B: Reazioni liberatrici

B1: La reazione intersoggettiva o momento della libertà individuale
B2: La nevrosi come evasione accettabile
B3: L’evasione lirica
B4: La reazione come risposta alla psicologia collettiva

C: Finale

Glorificazione del sistema
Crollo della scatola

Il film di Markopoulos non va inteso come ripresa di una messa in scena di Die Schachtel, bensì come un prodotto autonomo che deriva in modo più o meno diretto dal progetto di Nonnis ed Evangelisti. In quanto tale, esso ci pone di fronte a un’ambiguità: da un lato è una delle possibili realizzazioni del progetto scenico-musicale, che è determinato nel suo decorso generale ma aperto a molteplici definizioni dei dettagli; dall’altro rappresenta una ri­duzione delle sue potenzialità. Infatti un tratto saliente di Die Schachtel è la configurazione sincronica di eventi visivi di diversa natura (movimento dei mimi, luci, proiezioni di fotografie e scritte), a cui peraltro corrisponde una molteplicità sul piano acustico (musica, emissioni vocali dei mimi, voce fuori campo, count down di una stazione aerospaziale, rumori di una città) – im­piegando in modo eccentrico un termine di Boulez, si potrebbe parlare di ‘polifonia di polifonie’. La compressione sullo schermo televisivo di eventi simultanei, che nella rappresentazione teatrale sarebbero comparsi in vari punti dello spazio scenico, pregiudica l’equilibrio della testura audiovisiva – ciò indipendentemente dal fatto che, date le caratteristiche aleatorie della partitura, la costruzione dei rapporti tra linearità e stratificazione viene in parte delegata agli interpreti o, più precisamente, i suoi dettagli si precisano in sede di progetto performativo. Per evitare di operare troppo spesso con campi lunghi, Markopoulos tende a ridisporre in senso orizzontale elementi che nella partitura si presentano simultaneamente; il passaggio da un genere artistico all’altro provoca cioè un mutamento nei rapporti tra spazio e tempo. Il filmmaker sembra consapevole di questi limiti e tenta di aggirarli impie­gando due tecniche che aveva perfezionato nel decennio precedente: il montaggio serrato e la sovraimpressione. Uno dei presupposti estetici del suo lavoro è la centralità del fotogramma, ambito a cui egli rivolge lo stesso grado di attenzione che il compositore riserva al suono in quanto materiale primario della musica. Questo operare sugli elementi primari ha dunque una certa affinità con la composizione seriale e, come in essa, crea le condizioni per una nuova concezione formale:

Io propongo una nuova forma narrativa per mezzo della fusione della tecnica del montaggio classico con un sistema più astratto, che implica l’impiego di brevi sequenze atte a evocare immagini-concetti. Ogni sequenza si compone di determinati fotogrammi selezionati, che sono simili alle unità armoniche nella composizione musicale. Le sequenze stabiliscono ulteriori sistemi di rapporto specifico; nella tecnica del montaggio classico, vi è un costante riferimento alla continuità di ripresa, nel mio sistema astratto vi è un complesso di fotogrammi differenti che vengono ripetuti (Markopoulos 1976a, p. 33).

Markopoulos era particolarmente sensibile alle relazioni tra immagine, parola e suono, come dimostra l’impiego della Sinfonia Manfred di Čajkovskij in Twice a Man (1963), della Cantata profana di Bartók in The Illiac Passion (1964-1967) e dell’ouverture di Fidelio di Beethoven in Sorrows (1969). Nella mancata ‘unione poetica’ delle dimensioni audiovisive egli intravedeva la ra­gione principale della regressione del linguaggio cinematografico. Anche sui piani della parola e della musica debbono dunque prevalere i principi di di­scontinuità, paratassi, allitterazione e reiterazione che il regista adotta nel montare le sequenze. In tal modo egli può pervenire a quel «lirismo di spazi muti e indipendenti» (Marko­poulos 1976b, p. 82), la cui prospettiva si era definita con la lettura degli scritti di Arnold Schönberg.

Nella realizzazione filmica di Die Schachtel si notano alcuni elementi di contiguità con la poetica di Evangelisti, che probabilmente sono l’esito di una congiuntura storica ma non per questo meno significativi; mi riferisco alla pratica del montaggio aleatorio, che richiama la nozione di «campi di possibi­lità» (Evangelisti 1991, p. 28), e all’impiego del quadro nero, che può essere inteso come il corrispondente visivo del silenzio. Infine, emerge anche qui un problema ricorrente nell’adattamento cinematografico di drammi musicali: la fissazione del punto di osservazione (Kühnel 2000). Questo elemento assume un peso specifico in Die Schachtel che – come i suoi predecessori Intolleranza 1960 e Collage – prevede lo sfruttamento dell’intero spazio scenico, una con­cezione in cui la frontalità rappresenta un momento particolare e subordinato a determinate funzioni. La mia tesi è che la trasformazione strutturale origi­natasi con il mutamento di medium non implica necessariamente un allontanamento dalla concezione di Evangelisti e Nonnis ma, almeno in certi ambiti, può significare un suo approfondimento. Questa apparente contraddi­zione si scioglie nel momento in cui si riconosce nel progetto di Nonnis ed Evangelisti una tendenza immanente verso una multimedialità compiuta (di tipo digitale); in tale prospettiva una realizzazione dell’opera su un supporto elettronico, che in quanto tale favorisce l’integrazione delle dimensioni, non le sarebbe affatto estranea. Come ha dimostrato Philip Auslander sulla scorta di numerosi esempi, tra rappresentazione dal vivo e riproduzione tecnologica non sussiste un’opposizione ontologica (1999).