Insegnare Matematica per Ingegneria

Stampa

INSEGNARE MATEMATICA PER INGEGNERIA

Quando mi trovo ad iniziare un nuovo corso di analisi matematica per le matricole di ingegneria, provo sempre una sorte di emozione da “primo giorno di scuola”, insieme ad una vaga sensazione di disagio, derivante dal timore di non essere in grado di definire, fin da subito, il canale corretto della comunicazione. Troppo spesso mi pare di capire che i miei studenti (che nella vita hanno consapevolmente scelto di voler fare gli ingegneri) sentono il mio corso, e quelli delle altre discipline matematiche, come passaggi necessari (e per lo più fastidiosi) per il completamento del curriculum accademico, o al più come occasioni per esercitare la mente (mi ricordo quando mi dicevano che studiare latino serviva per imparare a ragionare, ma in fondo a me piaceva latino in se stesso come lingua, come struttura logica, e ancora molto oggi mi aiuta nello strutturare il linguaggio che uso, ascolto, leggo...). Temo sia troppo svilente della loro dimensione adulta imporgli uno sforzo così significativo, come quello di affrontare e acquisire il contenuto di un corso di analisi matematica (per intenderci, analisi 1 + analisi 2) in una sola annualità, per esercitarsi la mente...Ci sarebbero sfide più appetitose e utili se così fosse. E un po' svilente anche per il mio lavoro di docente e ricercatrice appassionata.
L'ingegnere è colui che deve saper risolvere problemi, la sapienza di un ingegnere è (citando Leonardo da Vinci) davvero figlia dell’esperienza. Assunto questo, un corso di analisi matematica in una facoltà di ingegneria deve dare gli strumenti per comprendere, descrivere, trovare soluzioni, attivare processi...E' un'esperienza alta di creatività scientifica e  tecnologica quella a cui dobbiamo preparare i nostri studenti.
Ho letto recentemente un articolo di Gabriele Anzellotti, in cui si evidenzia la necessità di impadronirsi bene delle cose che si apprendono, conoscendo “l'edificio, la costruzione che lega tra loro i concetti e gli enunciati”. Anche della matematica si deve fare esperienza come costruzione nella sua interezza, perché questo è il pensiero richiesto ad un uomo di scienza e tecnologia. Per arrivare alla capacità decisionale di fronte ad un problema, oltre al calcolo, si devono saper attivare percorsi di comprensione e scelta. Certamente le dimostrazioni sono fondamentali, ma accanto a queste servono i significati, l'intuizione geometrica  e fisica, i modelli, gli esempi, le applicazioni...
Troppo spesso, concordo con Anzellotti, ho l'impressione che gli studenti siano volti ad apprendere la matematica in serie, in cui devono imparare segni e parole collegati solo da una sequenza di apprendimento. Probabilmente questo deriva anche dall'ansia che hanno di acquisire le ormai numerosissime aree di sapere che vengono loro proposte dai programmi ministeriali, anche nell'ambito della matematica. Allora in questa complessità tendono alla semplificazione procedurale del ricordo, ma semplificare una realtà complessa facendo finta che non lo sia porta alla  non  verità.  Dovremmo  sempre  indicare  loro  che di

fronte ad un problema complesso lo dobbiamo riconoscere come tale e consapevolmente poi semplificarlo per arrivare al problema più semplice che non sappiamo risolvere e da lì partire per trovare una nuova conoscenza (e soluzione). La modellazione matematica del reale si sviluppa così in fondo.  
Altre volte invece mi capita di riuscire a sconvolgerli per risposte banali che apparentemente cambiano il loro mondo, come se gli dicessi per la prima volta che e' la terra che gira intorno al sole. Siccome so che questo non corrisponde a verità, mi trovo ad interrogarmi su come sia possibile fare sintesi in un processo di apprendimento complesso e costruito nel tempo, in sinergia di luoghi e momenti di crescita diversi. Credo che mai potrei permettermi di dire che tipo di percorso la scuola secondaria dovrebbe svolgere per arrivare a permettere a me di svolgere il mio corso. Sia perché non è il mio lavoro, il mio ruolo, e la mia competenza. Sia perché so che  il sapere e le competenze di questi futuri ingegneri, in matematica, non deriveranno dal mio corso, ma dalla compartecipazione e contaminazione di tutto un percorso di apprendimento logico-matematico che hanno sviluppato nel tempo. Ho in mente sempre che alla fine del corso di Analisi Matematica 1 chiedevo ai miei studenti la definizione di integrale di Riemann, una delle più delicate proposte dal corso.  Non esagero dicendo che al 90% mi davano una risposta errata e alla mia obiezione dicevano “ma io l'ho imparata cosi' alle superiori”. Certamente il problema non risiede nell'informazione sbagliata data alle superiori (che sicuramente non era sbagliata ma ricordata male!), ma al fatto che uno studente anche liceale non ha probabilmente gli strumenti per acquisirla fino in fondo.  Si tratterebbe quindi di ridare a ciascun momento la pienezza del proprio contenuto, consapevoli tutti che il percorso di apprendimento non parte e non finisce lì, e il senso di questo sarà capibile da questi ragazzi solo nella pienezza del loro vissuto.
A volte, ancora, ho l'impressione che siano fortemente concentrati sulle procedure. Questo va bene, ma io cerco  di ricordare  loro che a loro verrà chiesto di costruire e inventare procedure, non di applicarle. Un mio bravissimo collega, che molto mi ha insegnato riguardo a cosa vuol dire insegnare in un corso di analisi per ingegneri, un giorno mi ha detto che oltre ad  insegnare  a  calcolare il gradiente di una funzione di due variabili, ci si deve ricordare che chiunque sia appassionato di montagna, con una cartina in mano o disperso tra le rocce, sa muoversi nella direzione del gradiente di una funzione altitudine, cioè nella direzione di massima variazione, perpendicolare alle curve di livello...Ho realizzato davvero che a volte il sapere per i nostri studenti è arrivare alla determinazione, ma  a loro sarà chiesto di orientarsi e possedere i concetti...
Le prove di ammissione ai corsi universitari parlano di una drammatica impreparazione mostrata dagli studenti rispetto a quanto viene chiesto (e a come viene chiesto) in matematica, questo in modo uniforme, in contesti universitari differenti (si parla di percentuali intorno all’80% degli studenti che scelgono la facoltà di ingegneria).
Non saprei dire perché questo accade. Certamente uno studente liceale allenato per superare l'esame di stato deve fare uno sforzo per cambiare procedura di ragionamento per affrontare quiz a risposta multipla  a domande di base o evitare l'automatismo dello studio di funzione (utilissimo per carità e da fare!) per sapere subito che una funzione integrale con integrando continuo e strettamente positivo non ammette punti critici (questo non è nel test di ammissione per carità ma nei miei scritti sì!).
Allora su quali punti mi piacerebbe aprire una discussione sulla preparazione in matematica della scuola superiore, perché su questi la mia limitatezza non riesce ad incidere? Provo a pensarne qualcuno, ma certamente non sarò esauriente:

1) l'apprendimento del senso delle regole, dell'agilità di applicazione e di calcolo;
2) la capacità di avere  una visione e intuizione  geometrica e fisica;
3) la disponibilità e la  necessità all'esercizio costante; il sapere che il foglio bianco spaventa sempre, ma solo si sosta davanti a questo “non sapere” ci si apre alla fecondità di costruire pensiero e soluzioni a nuovi problemi
4) la capacità di narrare e parlare nel linguaggio matematico (troppo spesso chiedo definizione e le risposte non hanno senso in italiano)
5) l'alfabetizzazione: quel noioso processo per apprendere l'alfabeto che ci costringeva a scrivere paginate di lettere e a ripetere per dei pomeriggi interi rosa, rosae,...ma senza questi io non avrei tradotto Catullo. Lo stesso vale per la matematica, non è un tempo che può essere accorciato, gli si deve dare solo un senso.

di Prof.ssa ELENA BONETTI – Università di Pavia