Sul potere di falsificazione dei neutrini

Stampa

SUL POTERE DI FALSIFICAZIONE DEI NEUTRINI

A proposito del clamoroso (alla lettera) risultato ottenuto nel laboratori del Gran Sasso con la misura della velocità dei neutrini, molti hanno rievocato il nome di Popper  come di colui che ha per primo compreso il rapporto tra l’attività sperimentale e le teorie fisiche. E cioè che, se da una parte nessun risultato sperimentale si può assumere come prova della validità di una teoria, dall’altro, anche un solo risultato difforme da quanto previsto dalla teoria può costituire prova della sua fallacia: è strumento di falsificazione.
La prima sorpresa è dovuta al modo in cui il risultato è stato comunicato: prima alla stampa che in un seminario per specialisti. Il gesto è stato – come dire? – inelegante e non rituale. Intanto perché si è trattato della misura di una grandezza che chiunque può comprendere (una velocità) e il cui risultato è accessibile a tutti:la velocità dei neutrini è superiore alla velocità della luce.
Sorprende anche che nessuno sui giornali abbia citato l’esperimento di Michelson e Morley che con quello del CERN- Gran Sasso ha in comune la semplicità concettuale: solo apparente. A tal punto che l’esperimento venne ripetuto con una migliore strumentazione su un arco di tempo di alcuni decenni e ne suggerì altri anche recenti. Tuttavia, richiamando Popper, nessuna di quelle che si chiamano “evidenze sperimentali” è mai diventata supporto degli assiomi di una teoria fisica e neppure in questo caso; tant’è vero che Einstein non sapeva nulla dei risultati ottenuti dai due americani. Tuttavia assunse l’invarianza della velocità della luce come assioma della sua teoria della relatività.
Per la verità, tale teoria esclude che particelle dotate di massa possano avere la velocità della luce; ma non esclude la possibilità dell’esistenza di particelle con velocità superiori: i tachioni.
Certo, il loro comportamento sarebbe piuttosto strano: per esempio, per i tachioni il tempo scorrerebbe al contrario e ciò darebbe origine a situazioni imbarazzanti dal punto di vista logico, ben illustrate da una scherzosa poesiola di R. Buller:

There was a young lady named Bright,
Whose speed was far faster than light.
She went out one day,
In a relative way,
And returned the previous night!

Se tra i neutrini  lanciati a Ginevra ve ne fossero di tachionici, non saremmo affatto costretti ad abbandonare la teoria della relatività, anzi saremmo già concettualmente attrezzati per trattarli come meritano; lo siamo dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso.
Il pensiero di Popper ha il merito di aver messo in evidenza che rapporto tra la teoria e l’esperimento è molto complesso; l’idea che l’esperimento sia una domanda posta alla natura e che la risposta sia univocamente interpretabile è molto ingenua.
Se la risposta è quella che ci si aspetta, allora tutto fila liscio; ma quando non lo è – come in questo caso e in quello di Michelson – allora può aver inizio un periodo di travagliata (e feconda) riflessione che, generalmente, conduce ad una diversa interpretazione della domanda posta con l’esperimento. In altre parole, è la risposta che induce ad attribuire un nuovo significato alla domanda posta.

di Prof. LEDO STEFANINI – Università di Pavia

 cern

Link utili:

Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: www.infn.it
Laboratorio Nazionale del Gran Sasso: www.lngs.infn.it
CERN: www.cern.ch