CARLO BERIZZI

Assistant Professor in Architectural and Urban Composition

DICAR – Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura

University of Pavia

 

 

 

 

Modelli insediativi e forme di città                      Elenco schede

 

Resize of Resize of F_gruppi 5-7-12-24

 

 

Introduzione

L’idea di un’analisi comparativa di modelli insediativi degli ultimi due secoli deriva dalla necessità di investigare le possibili forme che possono assumere le città contemporanee sempre in più rapida trasformazione.

Le recenti trasformazioni di Milano sono un esempio chiaro di come ormai sia impossibile controllare la forma urbana di insieme e definire regole insediative comuni in tutte le aree di un medesimo territorio. Il nuovo secolo ci propone città con caratteri diversi e compresenti a cui ci dobbiamo abituare. Le nuove forme della città devono corrispondere a nuove forme e possibilità dell’abitare ed ecco che di colpo il ricco repertorio delle esperienze morfologiche ci riappare come materiale da cui attingere per offrire nuovi paesaggi urbani.

Comparare forme ma anche rapporti volumetrici, uso del suolo, densità e caratteristiche dei modelli urbani di fine ottocento, delle utopie del moderno e dei progetti contemporanei, significa poter affrontare il progetto di città, o meglio parti compiute di città, con una visione ampia dell’esperienza e della ricerca.

Il testo raccoglie 17 modelli insediativi degli ultimi 150 anni comprendenti le grandi trasformazioni urbane di fine ottocento, come Parigi o Barcellona, le grandi metropoli, New York e Dubai, gli studi del moderno, la Broadacre City di Wright, il Plan Voisen di Le Corbusier e Brasilia, e alcune esperienze recenti come Potsdamerplatz a Berlino, o il progetto di Almere di Koolhaas.

 

Le forme della città contemporanea

Se analizziamo la forma di una qualsiasi città moderna ci accorgiamo che è molto difficile ricorrere ad analogie geometriche, come quelle delle città ideali, o a metafore formali. In un testo del 1982, “Morphologie City Metaphors”1 Oswald Mathias Ungers cercava il confronto metaforico tra forme diverse e i modelli delle città trovando interessanti relazioni tra i loro significati, vere e proprie azioni.

 

intro2 copia

In alto: Esempi di Metafore Urbane di Ungers. La prima in alto rappresenta l’accumulazione, la seconda l’apertura.

In basso: due immagini delle Edge City di Steven Holl, dispositivi di controllo spaziale del territorio, e il recente progetto del Linked Hybrid a Pechino.

 

 

 

 

 

intro-milano

Il PGT di Milano disegnato da Metrogramma

 

 

 

 

 

intro-perea

Andres Perea: Concorso per un città in Korea. “The City of the Thousan Cities”, una città attorno a una grande area verde che permette di raggiungere le diverse parti attraverso mobilità alternativa nel verde. La città è pensata come elemento flessibile e, essendo composta da molte città, permette anche la sua crescita nel tempo.

 

Aprire, ordinare, difendere, incontrare, collegare, come se la città nascondesse intenzioni di comunicare. Se strumenti come questo hanno rappresentato la possibilità di uscire dall’ossessiva ricerca di relazioni tra tipi, spazi urbani e contesti, oggi appaiono però insufficienti a permettere di spiegare la situazione attuale e appaiono solo interessanti suggestioni. La complessità dei fenomeni che regolano la società e la città contemporanea impongono infatti nuovi approcci al tema della forma urbana.

Nel dizionario architettonico “The Metapolis dictionary of advanced architecture” alla parola city c’è scritto “An old word” e suggerisce di cercare Multicity. Al di là della apparente provocazione questa situazione rivela un imbarazzo nell’uso in architettura del termine città. Negli anni passati proprio a causa della perdita della forma dell’insieme la parola città è stata sostituita da termini diversi come territorio o paesaggio, categorie che dilatando l’ambito di interesse del progetto hanno finito per influenzare la perdita di significato del progetto urbano.

Steven Holl con le sue Edge City aveva provato a immaginare dispositivi a grande scala capaci di tenere insieme il territorio frastagliato, ma queste esperienze sono divenute progetto solo ridimensionando la scala e compattando in un punto le valenze della complessità. In qualche modo Steven Holl cercando di semplificare il problema uniformando le risposte si è trovato nella condizione di operare in direzione opposta, rendendo complesso il singolo nodo, catalizzando in una struttura le diverse forme che precedentemente aveva disteso sul territorio arrivando al progetto per esempio del Linked Hybrid a Pechino in Cina. E’ come se dopo l’eccessiva dilatazione concettuale nel tentativo di trovare l’unità nella vastità dello spazio si fosse tornati indietro alla scala del singolo intervento nel quale vengono concentrate tutte le istanze della contemporaneità, la complessità, la compresenza, la multifunzionalità, la sostenibilità, la vivibilità.

Se la mega struttura rappresenta una soluzione estrema a questa necessità, si può ancora parlare di forma urbana a patto di scendere a compromessi col concetto stesso di città.

 

Se consideriamo ad esempio la città di Milano ci accorgiamo che è molto difficile identificare una forma geometrica o metaforica e forse non ne ha neanche senso perché comunque non sarebbe derivata da un processo intenzionale formale. Eppure Milano sta trasformando più di 4 milioni di metri quadrati, in più di 10 grandi aree di intervento e non si può pensare di procedere senza alcun principio formale. Se guardiamo autonomamente questi casi ci accorgiamo che sono basati ognuno su principi molto riconoscibili sia in termini di forma urbana che di modelli insediativi. Il fatto è che non sono accomunati se non dalla vicinanza geografica. La critica comune di non milanesità dei nuovi interventi è anche dovuta al fatto che in termini morfologici e formali non esiste più una milanesità che rimane magari negli aspetti linguistici. Se guardiamo il nuovo Piano di Governo del Territorio, lo strumento che governa le trasformazioni e che non a caso nel suo nome non nomina le città, ci accorgiamo che Milano ha adottato un piano che divide la città in 88 parti chiamate Nuclei di Identità Locali. Ognuna sarà una sorta di città in miniatura che manterrà i caratteri identità richiamati nel suo nome e sarà caratterizzato da elementi definiti dal punto di vista formale, tipologico e morfologico.

 

Se consideriamo questa scala è quindi ancora possibile parlare di forma parlando di città ma intendendo parte di essa; questo concetto era espresso già nella teoria di Aldo Rossi dei Fatti Urbani, dove egli riconosceva autonomia e compiutezza alle diverse parti anche se ne richiedeva una appartenenza di carattere all’insieme.

Questa è la direzione che sta prendendo la pianificazione, anche per lasciare maggiore libertà alle società che investono nel campo immobiliare e agli operatori del Real Estate, e che indica la possibilità di sperimentare modelli insediativi differenti.

Ognuna delle diverse parti che compongono Milano diverrà quindi autonoma formalmente. Questa scelta innovativa in realtà è un passo indietro verso modelli abitativi più sostenibili dove il raggio di intervento è limitato ed è ancora possibile controllare i risultati di insieme. Non è un caso che tutte le aree di trasformazione recenti siano aree quasi interamente pedonali con compresenza di funzioni differenti, che richiamano dimensioni più contenute e stili di vita forse più sostenibili.

L’esempio di Milano è comune a molte altre esperienze europee e internazionali come ad esempio lo studio in Olanda per il Randstad o il progetto di una nuova città in Korea di Andres Perea. E’ una strada possibile per tornare a parlare di città in termini architettonici e di riflettere sul tema attualmente meno risolto della forma e degli usi degli spazi aperti.

 

Analisi dei modelli insediativi

L’analisi dei modelli insediativi è stata condotta attraverso una serie di indici relativi alla densità, all’occupazione e all’uso del suolo. In particolare si è voluto, laddove possibile, distinguere l’uso del suolo in pubblico, privato, semipubblico e semiprivato. Sebbene lo spazio della città sia da sempre diviso in pubblico e privato è oggi sempre più importante definire categorie diverse che ampliano il significato degli spazi aperti. Se le città in qualche modo stanno cercando di riconquistare il suolo, quello occupato dalle macchine ma anche quello non sufficientemente determinato del recente passato di matrice modernista, è importante capire a chi questo suolo sarà destinato e chi lo gestirà. Lo scopo è quello di arrivare a una definizione complessiva dell’uso del suolo contro il problema attuale degli spazi di risulta o Junk Spaces come li ha definiti Rem Koolhaas. I dati sono stati ricavati empiricamente e quindi non hanno di per se un valore assoluto ma lo hanno in termini di ordine di grandezza per i quali è possibile trovare elementi di comparazione.

In alcuni casi l’uso degli edifici è stato semplicemente ipotizzato (come nel caso delle città teoriche), in altri il restringimento del campo di indagine ha escluso alcuni spazi e servizi analizzato.

I disegni sono tutti nella stessa scala, ad eccezione degli schemi grafici di Dubai e del Plan Voisen le cui dimensioni erano eccessive. In questo caso solo nella pagina di introduzione al progetto la scala è uniformata.

I casi sono ordinati in base alla suerficie costruita in rapporto a quella dell’area, partendo dal caso meno denso.

E’ particolare pensare che agli estremi si trovino due esempi teorici dello stesso periodo, La Broadacre city di Wright con 0,05 mq/mq e il Plan Voisen con 12,5 mq/mq. Il primo è un modello rifeibile alle città a bassa densità, ai progetti con uno stretto legame con il suolo, il secondo a progetti molto densi. Ai due estremi si trovano anche gli usi differenti del suolo, nel primo caso il suolo è prevalentemente privato, nel secondo solo in cima alle torri si ricavano spazi privati o semprivati.

 

Schede:

Scheda 1: Broadacre City (Stati Uniti), F. L. Wright   

Scheda 2: Ciudad Lineal (Spagna), A. S. Y Mata

Scheda 3: Città lineare di Magnitogorsk (Russia), I. Leonidov

Scheda 4: Siedlung Romerstadt (Germania), E. May

Scheda 5: Pilotengasse (Austria), Herzog & De Meuron + O. Steidle

Scheda 6: Garden City (Regno Unito), E. Howard

Scheda 7: Brasilia (Brasile), L. Costa

Scheda 8: Chasse Terrain (Olanda), OMA

Scheda 9: Amsterdam Zuid (Olanda), H. P. Berlage

Scheda 10: Almere (Olanda), OMA

Scheda 11: Masdar City (Emirati Arabi Uniti), N. Foster

Scheda 12: Potsdamer Platz (Germania), R. Piano

Scheda 13: Plan Cerdà (Spagna), I. Cerdà

Scheda 14: Piano Haussmann (Francia), G. – E. Haussman

Scheda 15: Burj Khalifa (Emirati Arabi Uniti)

Scheda 16: Empire State Building Block (Stati Uniti)

Scheda 17: Plan Voisin (Francia), Le Corbusier

Resize of Resize of A_gruppi 3-8-9-11

Resize of Resize of B_gruppi 19-20-21-22

Resize of Resize of C_gruppi 1-2-4-6

Resize of Resize of D_gruppi 13-15-16-17

Resize of Resize of E_gruppi 10-14-18-23-25

Resize of Resize of F_gruppi 5-7-12-24

 

Redazione a cura di Rosamaria Olivadese

 

Ø PROGETTI

Ø HOME