UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PAVIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE MUSICOLOGICHE E PALEOGRAFICO- FILOLOGICHE

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My Fair Lady

Il passaggio dal teatro al cinema per My Fair Lady è molto meno arti­colato rispetto all’altro testo preso in esame; la definizione migliore per tipologia di adattamento in My Fair Lady è l’analogia o la fedeltà della tra­sformazione, perché l’impianto teatrale, composto dall’ouverture, dall’intermission, dall’entr’acte e dalla exit music è mantenuto, cercando tuttavia di farlo convivere con le necessità del nuovo impianto. Il ritmo narrativo dell’originale teatrale è conservato, sebbene nel film diventi an­cora più coinvolgente.

La presentazione dei titoli di testa avviene mentre si ascolta l’ouverture fino 3’ 14’’, così come la scena d’apertura ripropone fedel­mente l’apertura del musical play. Per la sceneggiatura Lerner ha deciso di mantenere pressoché immutato l’impianto per la versione cinemato­grafica, così come Loewe ha ri­dotto al minimo l’inserimento di nuova mu­sica; piuttosto, sono stati operati tagli e la disposizione dei numeri ha subito degli spostamenti.

Nella versione di Broadway i numeri musicali sono alternati ai cambi di scena solo strumentali: fra le scene II e III il numero musicale di Doolittle (n. 4. With a Little bBt of Luck) faceva seguito al cambio di scena n. 4 e in­troduceva il numero di Higgins (n. 5. I’m a Ordinary Man), seguito nuovamente da un altro cambio di scena (scene III e IV), il n. 5a; la ripresa del n. 4 apriva la scena IV e preparava attraverso un ennesimo cambio, il n. 6a, il secondo numero di Eliza (n. 7. Just You Wait). Nella versione di Hollywood le scene sono costruite invece secondo l’ordine: scena I (nn. 1 – 3), scena III (n. 5), scene II e IV (nn. 4, 6), scena V (n. 7); nel film i cambi di scena, n. 4a e 5a, vengono riarrangiati da Loewe e fusi insieme. Così facendo ai singoli numeri è data minore evidenza e non è più impor­tante l’accostamento fra il personaggio di Higgins e Alfred P. Doolittle, ma soprattutto vi è una ricaduta sul ritmo della narrazione, che in questo modo è più uniforme. La volontà di cambiare da parte di Eliza è presentata nel n. 3 attraverso l’aspirazione a una vita più confortevole, ma soprattutto emer­gono i pensieri di Eliza in concomitanza con il rintocco delle campane: si sente infatti la voce di Higgins sul futuro come assistente di negozio o addi­rittura come duchessa (23’ 23’’ – 24’ 22’’). Il cambio di scena è netto e l’ambientazione è lo studio di Higgins, in cui arriva Eliza a chiedere di rice­vere lezioni. Nel lungo dialogo che precede il n. 5 (I’m an Ordinary Man) Lerner e Loewe compiono una sottigliezza che nella versione teatrale non sarebbe stata colta per la velocità dei dialoghi. Cioè nell’opera di convinci­mento che Higgins svolge per trattenere Eliza grazie allo stratagemma di offrirle della cioccolata (33’ 25’’) Lerner inserisce un’anticipazione del mo­tivo del n. 5, solo in apparenza fuori luogo; se si pensa al numero come a una professione di fede dello studioso, moderno Pigmalione che rifugge le donne, la citazione trova il suo senso perché in quel momento l’artista creatore non deve permettere che la sua ‘creatura’ si allontani, anzi la deve convincere a rimanere. Parimenti un’altra citazione più avanti svolge la medesima funzione di reminiscenza; durante il bagno di Eliza (36’ 00’’) emerge il motivo di Wouldn’t It Be Loverly?, si crea così una trama di rimandi che pervadono tutto il film. Nel film che la costellazione di significati assume una rilevanza speciale, in quanto la raffigurazione del bagno attraverso la nuvola di vapore o le urla di Eliza, che non è abituata a questo tipo di comportamenti, rinviano alle classi sociali di ap­partenenza e ne costituiscono una critica, proveniente in linea diretta dalla sceneggiatura di Shaw.

Il secondo spostamento rilevante è collocato alla fine del primo atto e l’inizio del secondo e anche in questo caso il risultato ottenuto è una mag­giore fluidità della narrazione. Nel film la conclusione del primo atto (1h 35’ 41’’) coincide con l’effettiva uscita di casa di Eliza accompagnata da Higgins e Pi­ckering per recarsi al ballo dell’ambasciata; il n. 14 Eliza’s Entrance svolge un ruolo importante perché in un dialogo fra Pickering e Higgins emerge l’ansia creatrice di Higgins proprio nei confronti di Eliza, che in quel mo­mento fa il suo ingresso. Seguono l’Intermission e l’Entr’acte (1h 37’ 29’’ – 1h 37’ 48’’); il secondo atto nel film si apre con il ballo all’ambasciata (nn. 15, 16, 17) che rap­presenta la prova da superare per Eliza; l’ostacolo che si viene a porre in mezzo è il primo allievo di Higgins, Karphaty, divenuto esperto di fonetica e abile smascheratore di impostori. La grazia di Eliza suscita la cu­riosità generale e quindi Karphaty ha il compito di capire chi sia e da dove provenga quell’elegante convitata; inizia così un’affannosa ricerca favorita da Higgins fino al momento in cui Karphaty danza con Eliza e poi va a riferire immedia­tamente la sua scoperta. Questo elemento assume maggiore rile­vanza nel film, mentre nella versione teatrale è affidato alla sola narrazione musicale. I tre numeri sono strumentali e nel libretto non c’è alcun dialogo né didascalia a riguardo. La sequenza (1h 48’ 00’’) è stata creata ex novo da Lerner nella sce­neggiatura del film e ha ampio spazio, si crea, infatti, un pi­ano parallelo fra i movimenti rotatori di valzer di Eliza con il principe e il bisbiglio fra gli invitati riguardo la provenienza di quella deliziosa ‘creatura’. A ogni evoluzione dei ballerini, la ‘fama’ si diffonde fino a quando giunge all’orecchio di Higgins, che sbotta in una sonora risata apparendo così del tutto inappropriato.