Il saggio seguente è apparso in «il
Saggiatore musicale», VII/1, 200,
pp. 137-178. Davide Daolmi - Emanuele Senici Roma - Oxford «Lomosessualità è un modo di
cantare» Il contributo queer
allindagine sullopera in musica
questioni di metodo Nel recente The Queens Throat:
Opera, Homosexuality, and the Mystery of Desire il
poeta e critico letterario statunitense Wayne
Koestenbaum, implicitamente liquidando in una battuta
tutta la vexata quaestio dellidentità gay,
dichiara appassionatamente: Lomosessualità è un modo di
cantare. Non posso essere gay, posso solo cantarlo,
disperderlo. Non posso bussare alla sua porta e chiedere
di entrare, perché non è un luogo o uno spazio
definito. È invece una miriade di intersezioni o
una linea di demarcazione, una membrana, come la gola,
che separa il soffio interno del corpo dal caos del mondo
esterno.[2] Lidea dellomosessualità come
desiderio, comportamento, espressione idea per
molto tempo nientaffatto ovvia, e tuttora
contrastata e complessa si è consolidata negli
ultimi decenni attraverso un dibattito che a sua volta ha
confermato o quantomeno manifestato tale idea.[3] Tale dibattito è arrivato alle orecchie
dei musicologi soprattutto attraverso il femminismo
universitario nordamericano ed ha trovato nellopera
in musica uno degli spazi più fecondi in cui espandersi.[4] Il libro di Koestenbaum ha costituito uno
snodo importante per le riflessioni storico-critiche
sullopera che, in modi diversi, hanno adottato un
punto di vista omosessuale. Le numerose recensioni,
apparse su periodici gay ma anche su quotidiani e su
riviste musicologiche, testimoniano il forte impatto che
il volume ha avuto anche in ambiente scientifico.[5] The Queens Throat si
colloca però ai margini, se non al di fuori,
dellaccademia, a metà tra il saggio e la scrittura
creativa, e implicitamente suggerisce che né il metodo
né il linguaggio scientifico non sono ancora
spontaneamente permeabili alle tematiche omosessuali.[6] Proporre una presentazione critica di
tali riflessioni ad un pubblico italiano significa
rielaborare idee sviluppatesi in larghissima parte in un
contesto culturale, sociale ed ideologico profondamente
distante dal nostro, accademico e non. Tale distanza si
manifesta già nella traduzione della terminologia di
base, che obbliga a mantenere in inglese alcuni vocaboli
chiave, primo fra tutti queer. In inglese
laggettivo aveva il generico significato di
strano, insolito, seppur con
connotazioni negative; da alcuni decenni, ed in modo
sempre più esclusivo, è però usato per indicare in
modo spregiativo una persona omosessuale, quasi sempre di
sesso maschile, con connotazioni simili ancorché meno
aggressive allitaliano frocio.[7] A cominciare dagli anni 80, queer
è stato recuperato dalla cultura omosessuale
statunitense in modo autoreferenziale e con significato
molto ampio (ci si ritrovano gay, lesbiche, bisex,
travestiti, transessuali). Quelli che nelle università
vengono spesso definiti queer studies
sottoinsieme del più vasto dibattito gender[8] si sono progressivamente ampliati
da uniniziale enfasi su fatti storici, testi
letterari ed oggetti artistici che coinvolgono,
descrivono e rappresentano persone omosessuali (o che si
possono mettere in relazione con persone omosessuali) ad
un apparato interpretativo e discorsivo che ha
lambizione di rivisitare la storia e
dinterpretare il presente da una prospettiva
globalmente omosessuale. In questo senso, Castle costituisce un
buon modello dinterpretazione dellopera in
musica in chiave queer, perché si muove
sapientemente tra il pubblico e il privato, la storia ed
il presente senza che nessuno dei due punti di vista
prenda il sopravvento e fagociti laltro.[9] Il fascino che la studiosa prova per la
voce del mezzosoprano tedesco Brigitte Fassbaender agisce
da spinta iniziale per una ricostruzione storica del
fenomeno da Terry Castle definito «sapphic
diva-worship», ossia la venerazione che una parte del
pubblico femminile ha manifestato per talune primedonne.
Scopriamo così, per esempio, che la giovane regina
Vittoria nutriva una vera passione per Giulia Grisi, che
negli anni della maturità la favorita della regina
divenne Jenny Lind, e che lanziana monarca volle
che Emma Calvé posasse da Santuzza per un busto poi
collocato in un posto donore negli appartamenti
privati di Windsor. Negli anni 10 e 20 del
Novecento, dopo ogni sua recita al Metropolitan,
Geraldine Farrar veniva accolta alluscita degli
artisti da un gruppo di fans femminili, le
cosiddette Gerry-flappers, che inalberavano
cartelli con scritte del tipo «we want you», «always
with you» e «none but you». Castle esplora poi le
ramificazioni letterarie del sapphic diva-worship
in romanzi di autrici quali Willa Cather e Marcia
Davenport, in cui traspare il desiderio omoerotico come
componente significativa del fenomeno. Infine racconta
della sua personale ossessione per la Fassbaender e si
sforza dinterpretarla alla luce della ricostruzione
storica che precede, scoprendo insieme continuità e
differenze. Unindagine come quella di Castle
trae origine dalle teorie su sessualità, identità e
linguaggio elaborate dal secondo dopoguerra in qua. Non
è questo il luogo per una ricognizione di tali teorie,
ma vale la pena sottolineare che la queer theory
fonda la propria impalcatura concettuale sulla recezione
americana di pensatori quali Foucault, Derrida e Lacan.
Punto di partenza è la collocazione foucaultiana della
nascita del concetto di identità sessuale
verso la fine dell800, col contemporaneo
riconoscimento dellomosessuale come
specie;[10] non a caso il termine
omosessuale si comincia a usare dal 1869.[11] La decostruzione Derrida e i suoi
esegeti americani e la psicanalisi
dispirazione lacaniana, soprattutto femminista,
hanno sollecitato unattenzione particolare per il
ruolo fondamentale che spetta al linguaggio nel creare
tale identità. Ne discende, al di là
dellAtlantico, la formazione della teoria costruzionista,
che concepisce la sessualità come adeguamento a modelli
di comportamento e rappresentazione; donde la queer
theory.[12] Le definizioni di
sessualità, inclusa quella
delleterosessualità, non sono quindi giudicate
immutabili, universali, date una volta per tutte, ma
variano invece nel tempo e nello spazio, sono legate a
contesti sociali e politici, ed hanno radici ideologiche.[13] Le sessualità che non si conformano
alla norma eterosessuale e che sono state marginalizzate
ed oppresse offrono quindi un punto dosservazione e
di critica privilegiato per il riesame della sessualità tout
court, e perciò dellidentità e del
linguaggio, nella storia e nel presente. Di conseguenza, la terminologia ha
assunto unimportanza non trascurabile. Già la
parola omosessuale era stata rifiutata per le
sue connotazioni patologiche, e sostituita negli anni
70 da gay. Negli ambienti accademici, il
termine gay in americano si riferisce in
genere agli omosessuali maschi è stato a sua
volta criticato come un marchio didentità, e
spesso sostituito da queer. Alcuni hanno tuttavia
rilevato che in questo modo si rischia, nel rimbalzo
delle etichette, di perdere di vista una specificità
che i gay avrebbero conquistato con fatica
nellazione politica degli ultimi anni in
cambio di una diversità indifferenziata che forse
nasconde un desiderio di integrazione ed assimilazione.[14] Non si può dire che esista consenso su
che cosa sia la queer theory, neppure al suo
interno. Rimane comune la consapevolezza della radice
ideologica che, senza rinunciare alla parzialità del
punto di vista, tenta di ritrovare in tale parzialità,
proclamata e celebrata, la forza delle proprie tesi. La
differenza tra la queer theory e, poniamo, la
storiografia marxista o la linguistica strutturale o la
psicanalisi freudiana, sta nella mancanza di qualsiasi
pretesa di rivelare verità assolute e totalizzanti. In
questi termini le accuse di ideologismo e di parzialità
non hanno molto senso: la queer theory, come prima
di essa il femminismo, risponderà che i concetti di
ideologismo e parzialità sono
essi stessi carichi di risonanze ideologiche. Ma se la queer
theory è in genere consapevole dinforcare
lenti ideologiche e spesso francamente politiche, la
storiografia che si ritiene imparziale si
rivela alla fine tuttaltro che esente dalle
medesime distorsioni, primo fra tutti il falso
presupposto che ogni essere umano sia attratto
sessualmente da persone del sesso opposto.[15] Di questa falsa innocenza, lesempio
più lampante è forse la recezione di Cajkovskij,
specialmente in riferimento alle Sinfonie. Richard
Taruskin ha smascherato il ruolo centrale, anche se mai
espressamente dichiarato, svolto dalla consapevolezza
dellomosessualità del compositore quando
non la si è più potuta ignorare nella
valutazione delle sue opere come eccessive, sentimentali
nel senso più negativo del termine, e perfino isteriche.
Il musicologo interpreta persuasivamente la teoria del
suicidio imposto a Cajkovskij da un giurì donore
segreto per via della presunta relazione con un giovane
aristocratico uno studio recente ha dimostrato
linfondatezza di questa tesi[16] come dettata da una serie di
stereotipi con cui la società e la cultura del 900
hanno cercato di esorcizzare lomosessualità. I
numerosi biografi che hanno contribuito a inventare
questa storia non potevano fare a meno di «un finale
tragico in cui leroe perisce a causa dei suoi
peccati, o una parabola di redenzione in cui, accettando
il verdetto del giurì donore, il pervertito alla
fine dà prova di dirittura morale. In entrambi i casi
ciò che veramente conta non è che il suicidio accadde
davvero, ma che sarebbe dovuto accadere. È il culmine
preordinato di unesistenza ridotta a stereotipo».[17] Di recente, un allestimento dellEvgenij
Onegin ha messo in scena il rapporto tra Lenski e
Onegin come unamicizia carica di elementi
omoerotici: nella scena del duello, che in questo
allestimento diventava un incontro di lotta, il desiderio
di Lenski per Onegin rompeva il velo della rivalità
sotto cui sera temporaneamente nascosto.[18] Alla luce delle teorie di Eve Sedgwick
(discusse più avanti), questa interpretazione sembra
ammissibile anche da un punto di vista musicale: il
duetto a canone tra tenore e baritono si può infatti
interpretare come il desiderio di un incontro, diciamo
pure di un amore, che non può essere soddisfatto. Non
aveva dubbi linterprete di Onegin, il baritono
Darryl Knock, nel dichiarare che «lelemento
omosessuale è molto forte nellopera poiché
Cajkovskij era gay. Si vede che è quasi
autobiografico».[19] Daltro canto non si può
trascurare che Cajkovskij iniziò a comporre lopera
dalla scena della lettera, momento letterario che
infiammò la sua fantasia creativa, e sembra difficile
negare che il personaggio con cui il compositore
sidentifica, o che per lo meno suscita la sua più
intensa simpatia e di conseguenza quella dello
spettatore è Tatiana. Se si vogliono individuare
temi autobiografici omosessuali nellOnegin,
il dilemma di Tatiana confessare di amare? ed a
qual prezzo? può forse essere un candidato più
plausibile dellamicizia trasformatasi in rivalità
astiosa tra Lenski e Onegin. Proprio in questo proliferare
dinterpretazioni possibili si fa avanti
laccusa di distorcere la storia e i
testi che essa ci ha lasciato in eredità per fini
ideologici e politici che hanno a che fare più col
presente che col passato. Il rischio è reale. Ma se non
si può dimenticare che lomosessualità e le sue
manifestazioni sono sempre state nascoste,
marginalizzate, quando non soppresse con la violenza
e in questo senso la presenza di un elemento
taciuto esige un atteggiamento investigativo preparato a
cogliere in testi e apparati discorsivi leco che
lomosessualità vi può nondimeno aver lasciato[20] , nel contempo
lappropriazione del passato, a prescindere dalle
finalità, propone un confronto che, proprio attraverso
il dialogo instaurato fra lindagatore e
loggetto dellindagine, restituisce una
realtà possibile, una nuova vitalità alla storia
altrimenti conclusa. In questa prospettiva, lermeneutica
novecentesca ha sottolineato con forza quella che, a
proposito della filologia, Gianfranco Contini ha definito
«la contraddizione costitutiva di ogni disciplina
storica»: Per un lato essa è ricostruzione o
costruzione di un passato e sancisce, anzi
introduce, una distanza fra losservatore e
loggetto; per altro verso, conforme alla sentenza
crociana che ogni storia sia storia contemporanea, essa
ripropone o propone la presenza
delloggetto. La filologia moderna vive, non di
necessità inconsciamente, questo problematismo
esistenziale.[21] La differenza tra la filologia di Contini
e i queer studies è che ciò che al primo pare
una contraddizione, un «problematismo esistenziale»,
non viene percepito come tale dai secondi. A questo
proposito, negli ultimi decenni lermeneutica e la
teoria storiografica meno implicate con lo strutturalismo
hanno elaborato unidea della storiografia come
dialogo tra interprete e testo, in cui linevitabile
parzialità della prospettiva dellinterprete
medesimo non distorce linterpretazione, anzi
larricchisce. A questa formulazione hanno
contribuito, tra gli altri e con diversa enfasi, Hans
Georg Gadamer, Jürgen Habermas e Paul Ricur.[22] In un saggio recente lo storico
americano Dominic LaCapra ha formulato lassunto
della storiografia dialogica in questi termini: Un approccio dialogico include il
riconoscimento che una proiezione da parte
dellinterprete è in qualche modo inevitabile, in
quanto loggetto dellinvestigazione ci
riguarda direttamente poiché pone delle domande riguardo
a valori o presupposti importanti per noi
Un
approccio dialogico non postula unantinomia tra
lettura ed interpretazione, ermeneutica e poetica, lavoro
e tempo libero. Esso crede invece che la relazione tra
questi elementi vada problematizzata, e si interroga
sulle possibilità ed i limiti dellinvestigare il
significato del passato nel suo rapporto col presente e
col futuro.[23] In una riflessione metodologica
importante, ancora Taruskin ha messo in guardia contro la
tendenza a prendere troppo alla lettera la metafora del
dialogo, a confondere cioè, in altre parole, la
storiografia con lantropologia e la sociologia.
Alla domanda se ci sia una differenza essenziale tra i
soggetti dellantropologia e quelli della storia,
Taruskin risponde secco: Cè una differenza insormontabile
che non si può ignorare. I soggetti storici sono morti.
Essi non possono più costruirsi in modo attivo
I
dialoghi coi morti, o con oggetti inanimati, sono nella
migliore delle ipotesi metaforici, nella peggiore
fittizi.[24] È difficile dargli torto. Eppure credere
che un testo possa essere sia loggetto
dellanalisi sia lanalista medesimo (senza
dimenticare che almeno in parte si tratta di
unillusione) pare proficuo. Conferire autorità
soggettiva ad un testo, infatti, significa di conseguenza
evidenziare la responsabilità dellinterprete come
soggetto, e riscoprire la natura eminentemente
interrogativa dellermeneutica storica. Proprio gli
esiti più recenti e metodologicamente più sofisticati
della storiografia letteraria di orientamento queer
mostrano i vantaggi di un atteggiamento interpretativo
che, nelle parole di Eve Segdwick, «rispetta
lalterità di un momento distante nel tempo senza
identificare la distanza temporale con
lalterità».[25] Quasi una breve storia queer
dellopera in musica A dispetto del titoletto, non crediamo
affatto che si possa realmente compilare una storia queer
dellopera in musica, né tantomeno crediamo che
esista unopera specificamente queer di cui
si possa tracciare il percorso. Sappiamo invece che
lomosessualità si distribuisce su piani tanto
diversificati da non ammettere unidentificazione
univoca; e se è palese la differenza che corre fra il
nobile libertino della Venezia seicentesca e un qualunque
gay di oggi che ogni 28 giugno si sente in dovere di
partecipare al pride day nazionale,
altrettanto evidente devessere lo iato che divide
quello stesso nobile dai garzoni che andava adescando.
Non è discutendo su quanto sia calzante usare un termine
moderno come omosessuale per uomini e donne
dei secoli scorsi che ci si salva dal rischio di
colonizzare il passato in chiave moderna. Lantidoto
promana semmai dalla consapevolezza del rischio, dalla
precisione del dato storico, dalla qualità
dellinterpretazione. Gli episodi qui messi in luce,
direttamente attinti dalla bibliografia su opera e
omosessualità, si dispongono quindi in una sequenza
cronologica per mera praticità organizzativa, ma
rimangono, come devono, affatto slegati: tanto sono
discontinue le circostanze, tanto sono profondamente
differenziate, persino opposte, le letture in chiave gay. «E Febo in terra si godea Iacinto» Koestenbaum instaura un parallelo fra
quella che, a suo dire, sarebbe lessenza originaria
dellopera in musica e la condizione omosessuale (e
che in parte vuole spiegare lattrazione che i gay
dimostrano per la lirica): Il ricongiungimento è un sogno; Orfeo
non riesce a salvare Euridice, e nel melodramma la parola
non abbraccerà mai la musica così intimamente da poter
dimenticare la frattura. Lopera non può recuperare
lunitarietà a cui aspira. È questo fallimento a
rendere queer lopera, perché la cultura ha
stretto lomosessualità (come la femminilità) in
una condizione di incompiutezza, oblio, divisione. Non
voglio dire che i gay siano privi di memoria o
emotivamente bloccati; dico che la trattazione
dellomosessualità identifica il desiderio gay come
operistico o eventualmente
orfico. Siamo ipoteticamente posseduti dal
desiderio di superare il confine e riabbracciare la
creatura perduta negli inferi, sposa o sposo che mai
troveremo.[26] Pur affascinante, si tratta evidentemente
di uninterpretazione ad uso e consumo:
a ben guardare, lanelito irrisolto alla perfezione
riesce a mettere insieme pressoché ogni cosa. Eppure la
figura di colui che si spinge agli inferi quasi
sfida alla società, alla morale per cercare chi
non sarà poi capace di salvare lo spreco
edonistico di un amore non riproduttivo è molto
seducente per limmaginario gay.[27] E daltra parte le risposte che si
possono dare a una domanda chiave perché si volta
Orfeo? , domanda che nessuno sembra volersi porre,
conducono facilmente allineluttabilità di una
condizione, un modo di essere, di sentire, che ricorda
davvicino la favola dello scorpione travolto dai flutti
per aver ucciso la rana che lo stava traghettando
sullaltra riva del fiume.[28] Malgrado
ciò, manca un approccio queer alle origini
dellopera in musica. Eppure sollecitazioni e spunti
in tal senso si rivelano assai più numerosi che in altre
aree più indagate. Qualche esempio: il salotto
licenzioso di Iacopo Corsi così sensibile, diversamente
da Giovanni Bardi, ad un recupero della classicità;[29] la disponibilità anche
sessuale di Iacopo Peri che affiora in versi satirici
coevi;[30] la predilezione per Ovidio, che spesso
ha raccontato lamore fra uomini; linsistenza
con cui si ripropone un mito divenuto nel tempo metafora
omosessuale come quello di Orfeo.[31] In origine lomosessualità nulla
centrava con il mito dOrfeo; sono le Metamorfosi
ovidiane (X, 78-85) che per la prima volta motivano lo
scempio delle Menadi quale rivalsa sui mutati gusti
sessuali di Orfeo (non è improbabile un riferimento al Convito
di Platone, che attribuiva il fallimentare recupero
di Euridice alleffeminatezza, tipica dei citaredi).[32] Ma sarà proprio la rielaborazione
ovidiana ad imporsi in epoca moderna, identificando le
dissolutezze sodomitiche con le ultime gesta orfiche.
Peraltro, nellEuridice, Ottavio Rinuccini
preferisce sostituire il finale ovidiano (ma il contesto
rappresentativo era quello duna festa nuziale).
Pure lOrfeo di Monteverdi (1607) àltera la
vicenda, sebbene il libretto di Striggio prevedesse la
feroce incursione delle Menadi.[33] Se la versione censurata
vi appartiene anche lOrfeo parigino
di Francesco Buti e Luigi Rossi, 1647 affiancherà
nel Seicento altri più espliciti libretti (la
straordinaria Morte dOrfeo di Landi, 1619, o
limprobabile Orfeo di Aurelio Aureli e
Antonio Sartorio, 1672), successivamente da Gluck
in poi il recupero del mito si concentrerà sul
ricongiungimento ad Euridice, e preferirà trascurare
qualsiasi riferimento allomosessualità.[34] Con Koestenbaum, ci potremmo chiedere se
un ambiente artistico come quello fiorentino, che ha
lasciato unimpronta così importante
sullimmaginario operistico, non voglia, magari
inconsapevolmente, sublimare un ideale erotico, e quindi
sentimentale, e quindi espressivo. Il rischio della
parzialità è in agguato, e Koestenbaum non prova
nemmeno a evitarlo: Se anche la Camerata non fosse mai
esistita, la si dovrebbe inventare. Sono io che
voglio la Camerata; che ho bisogno dimmaginarmi il
primo momento dellopera, pur indistinto ma
assoluto. Si potrà credere che lomosessualità ha
dignità, influenza e significato nel momento in cui si
voglia ammettere che i gay melomani non si sono attaccati
allopera come parassiti, corrompendone la natura
(quasi lopera fosse un bimbo da costoro
convertito allomosessualità), ma che
al contrario lopera è stata queer fin
dallinizio.[35] Organizzare unobiezione
circostanziata a questa appropriazione di un genere
musicale e al suo uso apologetico è almeno altrettanto
difficile quanto dimostrarne la fondatezza. Koestenbaum,
che non scrive un trattato sullopera ma parla di
sé quale omosessuale, surclassa le critiche con lo
stratagemma dellio voglio, che non è
un modo per poter dire qualunque cosa bensì una chiave
per trasformare le proprie affermazioni
nellesplicitazione di una sensibilità. I problemi sorgono quando si tenta invece
di affrontare in modo diretto la predilezione omosessuale
per la scena (autori e pubblico), e soprattutto quando si
vuole far luce su questa predilezione in un ambito
storico ormai concluso e tanto distante dal nostro quanto
lo sono le culture dellancien régime.
Daltra parte le informazioni sono scarse: si è
fatto cenno al salotto Corsi, e forse si poteva
proseguire a frugare fra le lenzuola della corte
fiorentina, dove i Medici non disdegnarono di ospitare
giovinetti, musici e cantori.[36] Ma già una domanda sorge spontanea:
quanto avranno influito i divertimenti dei granduchi
sulla promozione di questo o quel musico? In una società
dove, allora più di oggi, tutto si muoveva per lettere
di raccomandazione e simpatie personali, non è difficile
immaginare che la complicità di una condizione
moralmente condannata, anche a prescindere da un
eventuale coinvolgimento sessuale o sentimentale, poteva
trasformarsi in elemento discriminante per favori e
privilegi. Le cronache antiche però tacciono, o
tuttal più satireggiano sul consumo di amori
illeciti e furtivi, che in genere non servono a
comprendere lintreccio di relazioni degli ambienti
cortesi dellepoca. Più
significativa invece la presenza veneziana degli
Incogniti, accademia di libertini che tanto influenzò il
teatro dopera, annoverando fra i suoi accoliti
molti librettisti ed intellettuali impegnati sul fronte
del melodramma (Giulio Strozzi, Maiolino Bisaccioni,
Scipione Errico, Pietro Paolo Bissari, Bernando Morando,
Leone Allacci, Giacomo Badoaro, Paolo Vendramin, Gian
Francesco Busenello e altri).[37] Le sale degli Incogniti aprono fin da
subito le porte alle teorie libertine filo-omosessuali.
Il caso clamoroso dellIncognito frate Antonio
Rocco, che prima del 1630 scrive LAlcibiade
fanciullo a scola (summa apologetica della
pederastia, il cui manoscritto Francesco Loredano,
fondatore dellaccademia, regala allIncognito
genovese Angelico Aprosio)[38]è solo uno degli esempi che legano
lattività dellaccademia ad ambienti
omosessuali.[39] La
spregiudicatezza dei libretti dopera prodotti dai
membri dellaccademia quasi quasi si configura come
un indirizzo tematico riconoscibile. Il caso più
clamoroso ne parleremo poi è
linsistenza con cui tra gli stratagemmi tipici del
dramma per musica sinsinua il travestimento con
mutazione di sesso, soluzione ipso facto predisposta
agli equivoci sessuali.[40] Ma lomosessualità è anche un
modo di pensare in opposizione al sistema: una volta
interrotto lossequio alletica pubblica, nulla
vieta di trattare limmoralità. Il caso emblematico
rimane Lincoronazione di Poppea, dove fra
laltro compare una delle più esplicite scene
omosessuali in tutta la storia dellopera, quella
fra Nerone e Lucano, il favorito dellimperatore. Il
pretesto di cantar lamore di Poppea è lalibi
necessario a non turbare lo spettatore bigotto, ma il
duetto è unesplicita scena di sesso (che
Monteverdi peraltro asseconda organizzando la musica
secondo i canoni dun appassionato amplesso con
seduzione congiungimento tensione orgasmo e placato
abbandono).[41] È riduttivo interpretare la metafora
omosessuale perché di metafora si tratta: a
Busenello non interessa informarci sui gusti sessuali di
Nerone come ostentazione di lussuria e
dimmoralità. Il librettista va oltre: vuole
liberarsi anche del più intoccabile fra gli umanissimi
dèi. Dopo Virtù e Fortuna, anche Amore soccombe (ma lui
crederà daver vinto, cieco comè):[42]Nerone, ora lo sappiamo, non è
innamorato di Poppea, ma la sposa per puro capriccio
il duetto damore conclusivo sarebbe
piuttosto una concessione al gusto degli spettatori,
aggiunta a cose fatte , la sposa insomma per
ostentazione gratuita di potere («A chi può ciò che
vuol, ragion non manca» è la frase-chiave nel violento
scontro di Nerone con Seneca). E daltra parte Poppea
è prima di tutto una meditazione sul potere.[43] Che
lomosessualità fosse per gli Incogniti un
argomento come un altro se non addirittura
privilegiato , a prescindere dalle propensioni
personali dei singoli accademici, lo si coglie anche
dalla naturalezza con cui Barbara Strozzi mette in musica
e pubblica il Lamento sul Rodano severo. La
compositrice, figlia adottiva di Giulio Strozzi, e col
padre fulcro dellAccademia degli Unisoni un
sottogruppo musicale degli Incogniti[44] , pubblica il Lamento nel
1651 e poi nel 1654 con dedica agli Incogniti. Vi si
narra il caso parigino che vide il cardinal Richelieu
pretendere e ottenere la condanna a morte dei colpevoli
dellattentato del 1642, fra cui il marchese Henri
de Cinq-Mars, favorito di Luigi XIII. Il dramma dei due
nobili amanti, cantato dalla Strozzi e forse scritto
dallo stesso Francesco Loredano, colpisce per intensità
e qualità della scrittura poetica e musicale, ma anche
perché lamento al maschile il genere
del lamento è tradizionalmente femminile[45] dedicato al proprio compagno con
insoliti toni di tenerezza («al devoto collo | tu mi
stendevi quel cortese braccio») e complicità sessuale
(«quando meco godevi | di trastullarti in sollazzevol
gioco»). Situazioni
altrettanto cruciali per le sorti del teatro in musica
come quelle degli Incogniti non sono altrimenti note, ma
altre, simili al caso di Firenze, dove
lomosessualità non figura come elemento portante
ma certo come una ruota dellingranaggio, si
potranno facilmente rintracciare a Roma la mecca
del vizio sodomitico, per la satira La musica di
Salvator Rosa (1640) come nella Parigi di Mazarino
e Lully, o nella Londra di Händel e Bononcini. Gli
spunti che traspaiono qua e là dalle biografie di
musicisti e protettori (in studi invero perlopiù assai
reticenti) rivelano che cè parecchio da
investigare. Antonio Cesti, almeno in unoccasione
scampato allaccusa di sodomia, è un esempio
significativo. I rapporti che instaura con Roma Venezia
Innsbruck e Vienna, tutti vigorosamente sponsorizzati
dalla corte fiorentina dei Medici, passano spesso per
sovrani o cardinali che condividono i suoi gusti sessuali
e musicali: caso appariscente è il legame con Ferdinando
Carlo del Tirolo (il suo nuovo teatro a Innsbruck viene
inaugurato con la Cleopatra di Cesti).[46] Dopo
il contributo di Thomas, che opportunamente smonta il
castello dipocrisie costruito intorno al privato di
Händel, sarà, per esempio, doveroso ripercorrere gli
spostamenti del sassone, la cui folgorante
carriera passa per molti dei salotti omosessuali e
musicofili dEuropa:[47] ancora diciottenne ad Amburgo sulle
ginocchia del libidinoso Ariosti, poi a Firenze nelle
grazie del solito Ferdinando de Medici, quindi
ospite dei cardinali più chiacchierati di Roma (da
Ottoboni a Pamphili), e finalmente, dopo un soggiorno
nella dissoluta Venezia, a Londra, conteso dagli
aristocratici britannici. Gli si aprono le porte della
casa del giovane conte di Burlington (amante
dellarchitetto William Kent);[48] la residenza, una sorta di Bloomsbury ante
litteram, è il luogo dove sincontrano artisti
e omosessuali à la page. In questo salotto viene
concepito il progetto della Royal Academy e del
coinvolgimento di Giovanni Bononcini (sottratto ai favori
del cardinale Pamphili), donde una rivalità costruita e
fomentata ad arte. Illazioni? Forse, ma non ci stupiremmo
se unindagine seria ricostruisse questa rete che,
meglio di qualsiasi studio sulla committenza,
spiegherebbe favori, complicità, entusiasmi e fortune
altrimenti incomprensibili. Conoscere
le continue accuse di omosessualità rivolte, poniamo,
alla corte del cardinal Mazzarino,[49] grande importatore dopera italiana
e di castrati-spia,[50] e in seguito a Lully e al suo
librettista Quinault,[51]ci interessa per indagare le complicità
politiche che la nobiltà parigina intesseva intorno al
teatro dopera. È in effetti appariscente che la
rinascita musicale francese, pur coincidendo con il regno
di Luigi XIV (ossia, curiosamente, il primo sovrano a non
essere sospettato di omosessualità dopo almeno cinque
generazioni), è concepita, messa in atto e resa
politicamente necessaria ossia eretta a strumento
di potere dai medesimi paladini del «vitio
nefando». Siamo sicuri che il cardinale prima e il
fiorentino poi non unissero allutile (della ragion
di Stato) il dilettevole di una corte percorsa da gente
di teatro dai facili costumi? Siamo sicuri che alimentare
un sistema, quello teatrale, così indissolubilmente
legato a prestazioni sessuali di scambio non fosse un
modo per creare una sorta di corte-nella-corte su cui
operare un controllo diretto?[52] Il fenomeno continua nei secoli
seguenti, riconoscibile per citare solo i casi
più noti nel salotto artistico della principessa
Polignac nella Parigi degli anni 20 del Novecento,
nonché nellentourage che gravitava attorno
a Diaghilev e ai Ballets russes.[53] È
evidente che questo sistema, capacissimo di riconoscersi
come peculiare, abbia voluto forzare la mano per
affermare la propria cultura, la propria estetica e,
nello specifico, le proprie passioni. Eppure bisogna
aspettare Lulu di Alban Berg (1935) perché
lopera in musica abbia il coraggio di inscenare un
desiderio omosessuale senza compromessi. Per scavalcare i
limiti pretesi dalla morale comune il dramma per musica
ricorrerà con una certa sistematicità a tre
stratagemmi: il travestimento con cambio di sesso,
previsto dallintreccio; la misoginia tipica
delluomo darmi (o, per le fanciulle
dallindole più bellicosa, il disprezzo
damore); lamicizia indissolubile (sia
maschile sia femminile). «Femina Delio? Che miro!» Nellopera in musica si possono
distinguere tre livelli di cross-dressing (per
dirla col termine inglese che di solito designa il
travestimento con mutamento di sesso): il ruolo
interpretato per scelta o necessità contingenti da un
attore-cantante di sesso opposto (Marilyn Horne nel Rinaldo,
originariamente per un castrato, o Michael Aspinall che
mette in burla Tosca); lo scambio di sesso previsto
dallautore ma ininfluente ai fini
dellintreccio (il tenore che fa Arnalta nella Poppea,
Ida Rubinstein nel Martire de saint Sébastien
dannunziano); il travestimento provvisorio con cambio di
sesso interno allo sviluppo della trama (Achille,
Semiramide). I primi due casi sono frequentemente
trattati nella letteratura gender, spesso in
relazione a ruoli interpretati dai castrati (ne parliamo
più avanti). Lultimo, il più significativo dal
punto di vista drammaturgico, ha goduto invece di un
interesse abbastanza contenuto perché, almeno
nellopera, la sua fortuna si limita perlopiù al
periodo barocco. La
teoria secondo cui la distinzione di genere esprime
innanzitutto un rituale sociale, non solo in riferimento
al sesso ma rispetto ad ogni forma di dualismo,[54]permette di riconoscere nel travestimento
teatrale non tanto unazione sovversiva quanto un
modo per capire e interpretare la realtà del quotidiano.
Treadwell rilegge in questa chiave il cross-dressing
di Belluccia alias Peppariello che negli Zite
n galera suscita gli amori di Ciommetella e
della vecchia Meneca.[55] È il 1722, e il libretto di Saddumene
appartiene ad un genere la commedia per musica
napoletana che punta sul realismo assai di più di
quanto non facesse lopera veneziana. Alcuni
personaggi mostrano perplessità per questo Peppariello
che non sembra «né carne né pesce» (e gli amori
chegli suscita sono un modo per mostrare la
stupidità delle pretendenti): è la fine di
unepoca, quella del travestimento con equivoco
sessuale sponsorizzato dai teatri veneziani. Ormai, dal Combattimento
di Tancredi e Clorinda (1624) allAchille in
Sciro metastasiano (1736), si è visto di tutto: (a)
pulzelle virilmente armate e imperatori che si dilettano
con le gonne, (b) uomini in vesti muliebri per
accedere alle stanze dellamata e viceversa, (c)
fanciulle in abiti maschili che fan strage di cuori
femminili ed eroi sedotti da valorosi provvisoriamente in
gonnella, (d) attentati perpetrati sotto mentite
spoglie femminili (raro il contrario), (e) altri
più generici travestimenti senza gravi conseguenze, sia
maschili che femminili.[56] La
casistica vuol dare anche quantitativamente il senso
dun fenomeno che altrimenti rischia di apparire
eccezionale e non, comè in realtà, strutturale
alla drammaturgia seicentesca. In effetti il
travestimento non solo sessuale ma anche di ruolo
gerarchico, economico, sociale (sulla scorta p. es.
di un modello come Il prencipe giardiniero
di Benedetto Ferrari, del 1644) ha potenzialità
che vanno al di là degli sviluppi nellintreccio
drammatico.[57] Quando il travestimento è accessorio,
ossia quando di per sé non mira a raggiungere altri
fini, allora soggiace ad un giudizio morale e si
differenzia fra uomo e donna. Il maschio che si traveste
per lascivia ed eccentricità il caso emblematico
è Eliogabalo attua un sovvertimento sociale, e
questo gesto è condannato, anche se produce ilarità. La
donna che si veste da uomo senza aver necessità di
occultarsi è importante la tradizione
spagnoleggiante delle amazzoni[58] è magari eccentrica, ma in
genere le si lascia spazio perché si redima, magari
innamorandosi dun uomo e ritrovando la sua
femminilità. In questi termini, il confine fra
omosessualità e cross-dressing è labile, e
spesso è lunico spazio che si concede al desiderio
omosessuale. Se invece linteresse del drammaturgo
non è di tipo morale, ovvero non mira a presentare il
travestimento come un comportamento da giudicare
socialmente, in genere lo scopo è di muovere al riso, in
questi casi indotto ancora una volta da un
fraintendimento omosessuale. Ma perché lequivoco
sessuale induce al riso? La risposta, in chiave
antropologica, sta forse nel valore sociale del
travestimento stesso. Garber,
in un contributo ad ampio respiro sul travestimento, e
non solo teatrale, propone una prima risposta attraverso
la nozione di «categoria della crisi»: Con categoria della crisi mi
riferisco al fallimento delle distinzioni chiare e nette,
ad una linea di confine che si fa permeabile, che
permette gli scavalcamenti da una (apparentemente
distinta) categoria allaltra: bianco/nero,
ebreo/cristiano, nobile/borghese, padrone/servo
[59] È evidente che la contrapposizione
maschile/femminile è la più intensamente sentita, ed è
quella che il cross-dressing più direttamente
mette in crisi. In tal senso assurge quasi a modello di
ogni crisi specifica. Ma in una condizione come il
teatro, dove tutto, dalla storia alle scene ai
sentimenti, è travestimento, è chiaro che il cross-dressing
esprime soprattutto sé stesso, esprime cioè la
contrapposizione di due sessi, ovvero
linsussistenza di tale contrapposizione. Se
limperatore Domiziano può innamorarsi di Floro
perché questi decide di farsi passare per Idrena (Domiziano,
1673), allora vuol dire che è possibile innamorarsi di
unimmagine (la femminilità di Floro) e che ogni
cosa può esser finta, e allora tutta questa gran
differenza fra un uomo e una donna perde di senso. Tutto
ciò è un pericolo: fin dallantichità classica il
travestimento era vietato per legge perché contrario
allordine costituito.[60] Tale sarà poi lopinione della
patristica cristiana; dal Medioevo al tutto il
Settecento, le leggi suntuarie si preoccuperanno di
vietare abbigliamenti in contraddizione con il genere
sessuale e la gerarchia sociale.[61] Il
terrore del travestimento un terrore tutto al
maschile, e solo di riflesso femminile nasce dal
timore di perdere unidentità che colloca
luomo un gradino sopra la donna. Se maschio e
femmina possono indossare gli stessi vestiti, compiere le
stesse azioni e avere magari le stesse idee a
prescindere dal fatto che ciò possa avvenire ,
perché dovrebbe essere proprio luomo a detenere un
potere sulla donna? quella donna che quante volte
lo si è sentito ripetere? nasce dalluomo,
da un suo lombo, da quella costola che prima
dessere carne della sua carne pretende di esibire
una gerarchia, anche generazionale: «primo fu il
maschio». La Natura, su cui si fonda la distinzione fra
maschile e femminile, è lalibi necessario per
esplicitare la diversità dei sessi, quella diversità
che giustifica una gerarchia. Il travestimento sovverte i
valori apparenti; lomosessualità, quelli reali.
Non è un caso che per entrambi la Bibbia preveda
unammonizione dove ricorre la parola abominio (Deuternomio
22,5, Levitico 18,22). Il
travestimento, a questo punto, rimane tollerato in
situazioni circoscritte il carnevale, la festa, lo
spettacolo, il teatro per essere meglio
esorcizzato e tenuto sotto controllo, e insieme per
riconfermare tanta ribadita dualità sessuale. Allo
stesso modo lomosessualità trova un suo spazio
nellambiguità scaturita dagli insistiti cross-dressing,
che in qualche occasione rischiano di oltrepassare il
tollerato e, con la scusa del paradosso, dinsinuare
messaggi che vanno oltre la semplice burla. Casi
emblematici sono La Calisto di Giovanni Faustini,[62] Massimo Puppieno di Aurelio
Aureli (1684)[63] e Tetide in Sciro di Sigismondo
Capece (1712).[64] Si
comprende ora come il travestimento induca al riso, in
quanto movente dun confronto con la stupidità
dellingannato (che obbliga alla derisione per non
partecipare allerrore). Ma ancora, quando è
lattore a vestire panni femminili, possiamo ridere
del suo avvilimento il travestimento in questa
direzione, da maschio a femmina, è soprattutto una
perdita di potere, e non solo un mutamento sessuale
, mentre la donna in uomo fa semmai sorridere per
la stoltezza di chi ricerca una condizione che non è in
grado di sostenere. È tutto un sistema che più o meno
consapevolmente mira a condannare ogni possibile
sovvertimento della gerarchia consolidata.[65] «Non sei castrato già?»
«Non sono affè!» La teoria gender si è occupata
ripetutamente dei castrati; anzi, fra gli approcci queer
allopera barocca laspetto attualmente più
insistito è proprio la componente omosessuale che sembra
coinvolgere i castrati in relazione (a)
allinterprete, (b) al ruolo, (c) agli
spettatori che ne apprezzavano larte. (a)
Proprio una delle migliori e più documentate sintesi sui
castrati apparse di recente fa riferimento alle loro
«storie damore, omo o eterosessuali»,[66]quasi fossero ovvie le implicazioni
omosessuali del loro privato. Quando mai simile
distinzione si sarebbe potuta operare in altri contesti?
Latteggiamento politicamente corretto
è in questo caso sintomo di pregiudizio.[67] È tuttavia innegabile che fin dagli esordi teatrali dei castrati una delle armi più usata dai loro detrattori sia stata laccusa di omosessualità.[68] È possibile però rintracciare il filo conduttore che lega il discredito loro rivolto, sia in Italia sia allestero (dove le ostilità, nazionalizzate, sono più appariscenti).[69] In questo senso il recente saggio di Gilman, sulle reazioni suscitate dalla comparsa dei castrati a Londra nei primi decenni del Settecento, è un ottimo esempio di critica queer.[70] Gilman non può non riconoscere che il favore per i castrati, sostenuto da partigianerie impresariali, resse fintanto che lo stupore e la meraviglia allontanarono la paura del monstrum, paura che, ribaltata in derisione satirica, muoveva dalla minaccia che il castrato di successo opponeva al modello di potere tradizionale, ovvero quello del maschio britannico, padre e marito. Il castrato importato poteva essere liquidato come «sodomito» perché si rivelava contemporaneamente seducente (per limmaginario erotico femminile e maschile), straniero (più precisamente italiano) e innaturale (sia perché castrato sia perché attore).[71] Tre prerogative che rientravano nellampio concetto di effeminatezza (sinonimo di interesse privato, egoistico e irrazionale), che necessariamente si contrapponeva allideale britannico e repubblicano del guerriero (al contrario teso a difendere i valori sociali della comunità).[72] Per via diversa Fernandez giunge sostanzialmente alle stesse conclusioni rileggendo criticamente il Traité des eunuques del 1707, impropriamente considerato il primo studio sullargomento.[73]Il testo, che non si occupa di teatro, condanna senza mezzi termini i castrati (meno la pratica della castrazione), e Fernandez riconosce in tanta severità una difesa della famiglia come sano nucleo sociale e unico strumento di riproduzione. Il castrato per lautore del Traité è italiano e quindi straniero diventa una minaccia al sistema e pertanto devessere allontanato. Non si fa fatica ad instaurare una relazione tra tale ostilità e quella modernamente rivolta agli omosessuali. Il suo discorso sarebbe stato applicato,
senza cambiare una virgola, al nuovo spettro che stava
per subentrare agli eunuchi nella paura della borghesia:
gli omosessuali. Il lettore moderno farà da solo i
raffronti. Tollerati come artisti, vilipesi come
cittadini, giudicati indegni di esercitare la tutela dei
minori, additati alla pubblica riprovazione, benché
aureolati di un fascino misterioso.[74] È chiaro che anche in questo caso, come
per il travestimento, la minaccia non è alla specie
umana ma alla supremazia del maschio. Il re può regnare
fintanto che non si comporta da servo. Se il servo
riconosce sé stesso, o parte di sé, nei comportamenti e
nelle scelte del sovrano (potendo in questo senso
scambiare le esperienze), che cosa gli impedirebbe di
condividerne anche il potere? (b) Oltre al fatto che la voce
acuta in un uomo spiazza in parte la moderna
sensibilità, il castrato esaspera in questepoca il
ruolo en travesti sia indossando costumi
femminili, sia permettendo alla primadonna di svolgere
ruoli maschili scritti per voce acuta. Questo fatto ne
rende oggi problematica la sostituzione, proprio in
unottica gender. Ci pare una verità troppo
spesso taciuta che la fortuna del castrato debba
imputarsi in primo luogo alla carica di ambiguità
erotica che questi esprimeva più che alla sua qualità
vocale. Quanto deve la fortuna dellopera barocca al
sovvertimento dei valori sessuali comuni? Quanto alla
rimozione omosessuale, sia maschile sia femminile, ivi
rappresentata?[75] Da queste premesse meglio si comprende la
trasformazione subita dallopera dopo
laffermarsi degli ideali rivoluzionari e popolari.
Il melodramma dellOttocento rifugge le ambiguità
sessuali come espressioni dellartificio sofisticato
e corrotto dellaristocrazia;[76] sulla scena leroe aggrava la voce,
mentre in strada il cittadino enfatizza caratteristiche
fisiche utili a distinguere i sessi (i maschi esibendo
per esempio barba o basettoni e indossando pantaloni a
mezzagamba aderenti ai genitali, le donne scoprendo le
spalle e il seno e preferendo le gonne strette ai
fianchi). La fine dei castrati non sembra aver dato
tregua allambiguità propria dei ruoli che essi
interpretavano. La restituzione delle voci acute nei
moderni allestimenti del teatro barocco continua a creare
scompiglio. In ambito gender si è ripetutamente
puntato il dito sul caso, a torto creduto emblematico,
del rifacimento ottocentesco dellOrfeo di
Gluck;[77] qualche teorizzazione
sullermafroditismo è scaturita dalle recensioni
del recente film sul Farinelli; e cè chi riscopre
nelluso delle donne al posto dei castrati
lambiguità sessuale del teatro barocco in chiave
lesbica.[78] (c) Ad ascoltare i castrati si
diventa omosessuali, si diceva fra Sei e Settecento.[79]Laccusa scaturiva da
uningenua osservazione del costume romano (più
esibito che in altre città proprio per lalta
presenza di ecclesiastici): i castrati
ufficialmente uomini di teatro e non oggetti di piacere
offrivano lalibi per esibire in pubblico liaisons
e concubinaggi. Sono esplicite le parole del «famoso
monsignore» che ragguaglia il Casanova: Non sarebbe possibile senza dar scandalo
invitare a cena a quattrocchi una bella cantante.
Invece si può offrire la cena a un castrato. È vero che
poi si va a letto con lui. Ma tutti devono ignorarlo. E
se la cosa si viene a sapere non è possibile giurare che
ci sia stato del male, perché in fin dei conti è un
uomo, mentre non si può andare a letto con una donna se
non per goderne. È vero, monsignor. La cosa più
importante è di privare il giudizio della certezza,
giacché gli individui ben educati non pronunciano mai un
giudizio temerario.[80] Se i castrati rendevano palesi le relazioni omosessuali, altrimenti occulte, loperazione più semplice era prendere per causa il sintomo: ovvero spostare sul castrato il focolaio del vizio, pregiudizio agevolato dalla possibilità di scaricare colpe infamanti su persone che forse non erano più persone. Ma se allora i castrati si trasformano in cartine di tornasole della «pederastia» nobiliare, come direbbe il Casanova, dobbiamo ammettere che tanti, troppi signori dai gusti sconvenienti simprovvisavano protettori dellopera.[81] La domanda sorge spontanea: si potrà azzardare che, malgrado il diffuso orrore borghese, siano stati proprio gli ambienti omosessuali aristocratici a fare la fortuna dei castrati sulla scena? Non siamo in grado di dare una risposta, e forse non lo vorremmo nemmeno fare. Certo larco storico così ampio e lattenzione ad un desiderio rimosso, mai venuta meno, fanno supporre che lo spettacolo dopera fosse disponibile alle passioni più varie, più o meno predominanti. Ma un elemento non trascurabile si trova forse nel fascino descritto da Koestenbaum, per cui la seduzione vocale diventa unesperienza quasi erotica, dove il canto raggiunge una corporeità fisica. Prima di Koestenbaum, anche il già citato Fernandez, scrittore e saggista dichiaratamente gay e appassionato dopera, in un suo famoso romanzo ambientato nel Settecento napoletano (Porporino, 1974), simmagina che il cantante descriva con parole a doppio senso la sua voce di giovane castrato: I suoni, non più semplice vibrazione di
atomi nello spazio, ma calda materia ed emulsione
vivente, avevano lo spessore della panna, la trasparenza
dellopale
io li sentivo, come dire, agitarsi
sotto la lingua, sciogliersi nel succo delle mucose,
colorarsi al roseo palato, intiepidirsi contro
lavorio dei denti e infine gonfiarsi e sbocciare
allavvicinarsi delle labbra
la voce del
castrato, essendo per forza il suo organo di emissione,
è tutta impregnata di quella linfa che nel suo corpo non
ha altra via duscita.[82] Non vè dubbio che la metafora
erotica è una proiezione dellautore, ma dobbiamo
supporre che simile suggestione debba avere condizionato
anche il pubblico sei-settecentesco, se già Angelini
Bontempi nel 1695 «paragonava il potere del canto a
quello dello sperma».[83] «Finché il mio core battere io senta
sul tuo cor» Tra Sette e Ottocento la fine dellancien
régime e la diffusione della cultura borghese
introducono una sessualizzazione dellidentità
personale ed una divisione dei generi insistita ed
enfatica (si pensi allevoluzione della moda di cui
sè detto). Lopera partecipa a questa
evoluzione con una progressiva disinfestazione dalle
ambiguità che lavevano caratterizzata nei primi
due secoli. Un esempio interessante in proposito lo
offrono le vicissitudini del libretto dellAchille
in Sciro metastasiano (1736), in cui il travestimento
femminile di Achille per sfuggire alla chiamata alle armi
offriva il destro per alcune scene che mettono in
evidenza lambiguità sessuale.[84] Sia un libretto torinese del 1785
(musica di Gaetano Pugnani) sia parodie in dialetto
genovese e napoletano della fine del secolo riscrivono o
addirittura omettono tali scene, rimuovendo ambiguità e
doppi sensi in un tentativo di censura tanto più
significativo quanto ovvio, evidentemente considerato una
pratica legittima (i lettori-ascoltatori di questi testi
certo conoscevano loriginale del Metastasio).[85] Questo processo di
eterosessualizzazione avviene tuttavia non
senza resistenze. Si pensi per esempio a Rossini, al
perdurare nelle sue opere serie di parti per eroi
maschili scritte per castrati (Aureliano in Palmira)
e contralti en travesti, al rifiuto della
mascolinità muscolosa ostentata con orgoglio nel Do di
petto,[86] e alla nostalgia da sopravvissuto che
traspare nella celebre boutade sui «douze
chanteurs de trois sexes, hommes, femmes et castrats»
necessari per eseguire la Petite messe solennelle.
In questo senso il terzetto che precede il finale nel Comte
Ory può essere visto come uno sguardo al passato,
con Ory travestito da pellegrina che al buio crede di
amoreggiare con la contessa Adele ma indirizza invece le
sue effusioni al paggio Isolier una parte en
travesti , il quale a sua volta ne approfitta
per avvicinarsi alla contessa più del dovuto. Rossini
crea un quadro musicale carico duna sensualissima
ambiguità, che non sarà più udita per un secolo a
venire.[87] Per contro, Verdi, «nemico giurato di
far cantare una donna vestita da uomo»,[88] finirà per scrivere la parte di Ernani
per tenore invece che per il previsto contralto: segno di
unevoluzione culturale e musicale profonda e ormai
radicata. Le parti en travesti sopravvivono
fin verso la metà del secolo, pur se negli ultimi
decenni si limitano a personaggi di giovinetti imberbi
come i piccoli musici nelle opere donizettiane (Smeton
nellAnna Bolena, Pierotto nella Linda di
Chamounix) o Siebel nel Faust di Gounod, che
in comune hanno qualità come linnocenza e la
semplicità danimo.[89] Il Prince charmant di Cendrillon
(1899) e il Chérubin nellopera omonima (1905) di
Massenet partecipano già di quellatmosfera liberty
sensuale e decadente da cui scaturirà, tra
laltro, lIda Rubinstein che danza nel ruolo
eponimo nel Martyre de saint Sébastien di
dAnnunzio e Debussy, e nella cui estetica
lambiguità sessuale svolge un ruolo importante.[90] I cross-dressing interni alla
trama, tanto frequenti nellopera barocca, diventano
rari nellOttocento. A parte i casi di Fidelio
e Dalibor di Smetana (che allopera
beethoveniana palesemente si ispira),[91] gli esempi di questo tipo sono scarsi e
compaiono in opere comiche il matrimonio tra il
dottor Cajus e Bardolfo vestito da Regina delle fate
nellultima scena del Falstaff oppure
in scene dal tono comunque basso, come il
primo quadro del secondatto della Forza del
destino, in cui Carlo, anchegli travestito (da
studente), indicando Leonora in abiti maschili, chiede
con malizia: «Per altro, è gallo oppur gallina?». È
solo col primo Novecento che il travestimento ricompare
sulle scene operistiche: Octavian in abiti femminili che
affascina Ochs nel secondatto del Rosenkavalier
ovvio lomaggio alle Nozze di Figaro ,
o lussaro che si traveste da donna per intrufolarsi
nella casa dellamata in qualità di cuoca e viene
smascherato quando viene sorpreso a farsi la barba in Mavra
di Stravinskij. Il recupero del passato costituisce
lalibi in cui collocare alcune parti en travesti
novecentesche, come il Compositore nel prologo dellAriadne
auf Naxos e il già nominato Octavian. Il Musico che
canta il madrigale nel secondo atto della Manon
Lescaut rientra in questo contesto solo a metà, dal
momento che fa parte di una rappresentazione, con intento
moralistico, del Settecento inteso come artificio,
finzione ed effeminatezza, unepoca di «trine
morbide», minuetti e finti nèi alla quale soppone
la virile impulsività di Des Grieux. LOttocento non solo disinfesta
lopera dalle ambiguità sessuali dei secoli
precedenti, ma le sublima. Anzi, sublima poiché
disinfesta. La tensione omoerotica che prima si
esplicitava nellequivoco ora spesso si nasconde
«sotto il sacro manto damicizia», per dirla con
Don Ottavio. Segdwick ha interpretato vari testi della
letteratura inglese del Sette-Ottocento in termini di male
homosocial desire, ossia come manifestazioni del
desiderio (non necessariamente sessuale) tra uomini che
può instaurarsi in una società patriarcale fondata
sulla separazione delle sfere dazione e di
riflessione tra uomini e donne. Segdwick è interessata
in particolare al triangolo erotico del desiderio
omosociale, in cui la donna può essere un canale
attraverso cui far passare un flusso di desiderio i cui
soggetti, spesso inconsci, sono i due uomini che
apparentemente desiderano questa stessa donna, secondo il
principio che «non cè un confine preciso tra il
volere ciò che è posseduto da altri (per esempio da
papà), e volere papà».[92] Ne
discende che, tra laltro, lodio per il rivale
in amore può essere interpretato come una forma di
desiderio, o comunque di legame tra uomini (male
bonding). Il male bonding non si limita
tuttavia al triangolo erotico, ma può assumere la forma
di unamicizia intima, in cui tuttavia il desiderio
non può e non deve concretizzarsi sessualmente, perché
se ciò avvenisse i presupposti sociali e culturali della
società patriarcale che promuovono il male bonding
ne verrebbero seriamente minacciati.[93] Terry Castle, nellallargare la
prospettiva alle amicizie femminili, ha sottolineato
proprio come esse implichino in potenza la capacità di
destabilizzare le strutture patriarcali, e ne ha
celebrato le possibili interpretazioni sovversive.[94] Lopera ottocentesca enfatizza tanto
spesso e con tanta insistenza le amicizie tra uomini e
tra donne che il compito qui non può essere quello di
elencarle il lettore ci pensi un momento e non gli
basteranno le dita per contarle , ma piuttosto
quello di distinguere i casi che si prestano ad
uninterpretazione omosociale. Riccardo ed Oscar in Un
ballo in maschera potrebbero sembrare a prima
vista tra i candidati più quotati, non solo per il fatto
che Oscar è un soprano en travesti, ma anche
perché la sua leggerezza, la passione per le feste ed i
divertimenti, lentusiasmo per i travestimenti sono
tratti che dalla cultura ottocentesca (e non solo) erano
interpretati come femminili. Ma il legame tra
i due non riceve unattenzione specifica, non
diventa un tema centrale nellopera: non cè
una scena in cui i due sian soli, e le dichiarazioni
daffetto da parte di Oscar per Riccardo compaiono
entro pezzi dassieme, dove è difficile percepire
il testo. Sarà stata una volontà, inconscia, da parte
di Verdi di evitare qualsiasi equivoco possibile? Certo
è raro che nelle sue opere lamore tra uomo e donna
riceva un trattamento drammatico e soprattutto musicale
vibrante quantè quello di Riccardo e Amelia, e mai
una scena di seduzione come il duetto tra soprano e
tenore, centro gravitazionale del Ballo, è stata
tanto travolgente ed infiammata. Solo pochi anni dopo il compositore mette
in scena una delle amicizie maschili più intense del
teatro dopera ottocentesco, quella tra Carlos e
Posa nel Don Carlos. Forti amicizie maschili
espresse in termini tanto enfatici quanto espliciti non
mancavano allopera settecentesca: si pensi per
esempio agli Oreste e Pilade nellIfigenia in
Tauride di Traetta (1763) e nellIphigénie
en Tauride di Gluck (1779), opere in cui manca una
vicenda damore eterosessuale e il cui modello
ideale rimane probabilmente lOlimpiade del
Metastasio (1733), dove il coinvolgimento di Megacle per
Licida si rivela più intenso degli amori con le
rispettive compagne (Argene commenterà perplessa:
«Dunque ha più saldi nodi | lamistà che
lamore?» III, iv). La vestale di Mercadante
su testo di Cammarano (1840) presenta poi due fortissimi
legami damicizia, maschile (Decio e Publio) e
femminile (Emilia e Giunia), molto più in vista qui che
nellomonimo dramma di Spontini. Non sfugga però
che si tratta in questi e molti altri casi di opere di
soggetto classico, greco-romano, in cui la distanza
temporale avrebbe aiutato a digerire quella che tutti
consideravano una realtà specifica del mondo antico,
lamore tra due uomini o due donne.[95] Lamicizia tra Carlos e Posa
riprende in un contesto moderno il tema
antico, connotandolo politicamente. Dei due è Posa,
privo dinteressi amorosi, quello che dà voce al
suo sentimento con maggiore intensità, e che sacrifica
la vita per lamico cantando unaria lunga ed
appassionata nella scena del carcere nel
penultimatto. Roger Parker ha rilevato di recente
che questo personaggio è stato spesso criticato come
psicologicamente poco complesso, ergo poco
interessante, e che la musica che Verdi gli fa cantare è
stata definita generica e un po allantica.
Parker, nel discutere alcuni momenti particolarmente
intensi di «Cest mon jour», reclama per Posa una
complessità psicologica non inferiore a quella degli
altri personaggi principali dellopera, e avanza
lipotesi interessante che le critiche fatte al
personaggio siano in realtà legate alloggetto del
suo amore: «Forse Posa ci mette davanti ad un tipo di caritas
umana che noi, nel tardo 900, facciamo molta più
fatica ad articolare dei nostri predecessori di un secolo
fa. In altre parole, Verdi mise in musica qualcosa che è
difficile per noi ricatturare, forse perfino riconoscere
quando ci si para davanti».[96] La sensazione, invece, è che noi, nel
tardo 900, riconosciamo fin troppo bene quella
carica omoerotica che lOttocento era riuscito a
sublimare, e in questa prospettiva non possiamo fare a
meno dinterrogarci sulla natura della bruciante
intensità delle espressioni damore di Posa per
Carlos. Una rilettura attenta dellOtello
verdiano dal punto di vista delle teorie di Sedgwick
porterebbe a risultati interessanti, ma, data la
complessità delle correnti incrociate di desiderio,
ulteriormente complicate dallelemento razziale,
richiederebbe uno spazio eccessivo. Smith compie
unoperazione simile su Norma e Aida,
in un saggio ricco di astuti suggerimenti soprattutto
sullopera belliniana (sarebbe stato ancora più
convincente se avesse incluso unindagine storica
sullamicizia femminile e le sue espressioni
nellItalia del primo Ottocento).[97] Il triangolo erotico omosociale di
Sedgwick è qui ribaltato, dal momento che Pollione
funziona come canale attraverso il quale passa il flusso
di desiderio tra Norma e Adalgisa. Ma cè di più:
le due donne sono legate dal culto per Irminsul,
condividono uno spazio, quello del tempio, da cui gli
uomini sono esclusi: Smith lo paragona ad un convento di
suore, dove Norma sarebbe la madre superiora, cui
Adalgisa, disperata novizia, confessa lamore per
Pollione. Lomosocialità femminile del convento,
con la sua latente dimensione erotica, costituisce un
punto di vista da cui leggere il duetto del
secondatto, in cui il polo maschile del triangolo
è infine cancellato e le due donne giurano di restare
unite per la vita, anche a costo dellesilio. Nella
cabaletta la musica pare evocare lintensa immagine
del testo, «finché il mio core battere | io senta sul
tuo cor», con un canto che ricorda, per esempio, quello
dei duetti tra Semiramide e Arsace nellopera di
Rossini, con la differenza, cruciale, che Arsace è un
personaggio maschile assegnato ad un contralto en
travesti, di cui Semiramide è innamorata, mentre
Adalgisa è donna. Si badi, non si vuole in alcun modo
affermare che tutti gli innumerevoli esempi di grandi
amicizie o, men che meno, di triangoli amorosi
nellopera ottocentesca si prestino a una lettura
omoerotica: solo unanalisi attenta, ma anche il
più possibile scevra da pregiudizi, può portare a
risultati convincenti. La possibilità nondimeno esiste,
e ci pare sia degna di attenzione. Nel suo studio sullandroginia
nellopera di Wagner, Nattiez separa tale concetto
dallomosessualità in modo un po troppo netto
e sbrigativo.[98] La complessità metaforica e la ricca
simbologia sessuale del teatro wagneriano non possono che
incoraggiare un tipo di lettura che su tali oggetti sta
affinando i propri metodi, ma il caso Wagner non ha per
ora attratto particolari attenzioni da parte della
critica queer. Ci pare tuttavia che, per esempio,
almeno il Parsifal meriti unanalisi circa le
implicazioni sessuali. Fruttuose ricerche sono invece
state effettuate sul culto tributato alle opere
wagneriane nei circoli omosessuali maschili tra la fine
dellOttocento e linizio del secolo
successivo. La cultura omosessuale nella Germania
dellepoca, in larga parte sotterranea ma nondimeno
molto diffusa, sviluppò una vera e propria ossessione
per Wagner, che influenzò non solo la letteratura e le
arti figurative, ma arrivò anche ad avere un impatto
sugli allestimenti di Bayreuth.[99] «Lulu! Mein Engel!» Nel Novecento lomosessualità
esplicita viene ammessa sulla scena operistica. I due
personaggi omosessuali più noti dellopera del
nostro secolo, la contessa Geschwitz nella Lulu di
Berg (rimasta incompiuta alla morte del compositore nel
1935) e Aschenbach in Death in Venice di Britten
(1973) hanno in comune un tratto sintomatico
dellapparato discorsivo di cui si è servita la
cultura occidentale di questo secolo per parlare
dellomosessualità: entrambi sono malati di colera.
La metafora dellomosessualità espressa dal colera
è legata allimmagine della malattia,
uninfezione dovuta a scarsa igiene personale,
allinquinamento dellacqua e a pratiche
sessuali immorali: è significativo che in Lulu
la protagonista passi ad Alwa la sifilide, malattia
eterosessuale, mentre con la contessa
Geschwitz condivida il colera.[100] La malattia come simbolo e quasi prova
tangibile della depravazione costituisce un
tratto caratteristico, anzi, il tratto
caratterizzante dei personaggi omosessuali, che
conquistano il diritto ad assurgere al palcoscenico
lirico solo al prezzo di venir presentati come
altri, e di morire di
omosessualità.[101] Ci sono però differenze significative
tra Aschenbach e la contessa Geschwitz. Mentre la
rappresentazione dellomosessualità in Death in
Venice ha dato adito ad interpretazioni diverse e
spesso opposte, di volta in volta filosofiche, politiche
e culturali, non pare che lopera lasci spazio ad
una visione positiva della sessualità di Aschenbach.[102] La contessa Geschwitz, al contrario, ha
suscitato la simpatia sia degli spettatori sia dei
critici; non, si badi, una simpatia tinta di compassione
e pietà, ma un sentimento prossimo
allidentificazione, e non solo da parte degli
omosessuali. In un saggio recente che a nostro parere
costituisce un ottimo esempio delle virtù
dellermeneutica dialogica cui abbiamo accennato in
apertura, Morris discute la recezione del personaggio
della contessa lesbica, i (pochi) documenti su Berg e
lomosessualità, e il linguaggio musicale carico di
nostalgie tonali con cui il compositore avvolge Geschwitz
soprattutto nel momento della morte (cui ella va incontro
per salvare Lulu), contrappuntandovi sì le proprie
reazioni emozionali di musicologo gay, ma senza che
queste diventino mai fine a sé stesse.[103] Lopera del Novecento presenta altri
personaggi apertamente omosessuali, anche se il gruppo
per la verità non è molto numeroso. Un caso abbastanza
unico, anche perché prodotto in un contesto operistico
conservatore come quello statunitense, è stata la
decisione da parte della Houston Grand Opera, la San
Francisco Opera e la New York City Opera di commissionare
al compositore Stewart Wallace e al librettista Michael
Korie lopera Harvey Milk (prima
a Houston nel 1995), che narra la vita e la morte di un
attivista e uomo politico gay di San Francisco
assassinato nel 1978. Più significativo è il
trattamento dellomosessualità nel recentissimo
lavoro di Jonathan Dove (compositore) e April de Angelis
(librettista), Flight, unopera in tre atti
commissionata dalla Glyndebourne Festival Opera e
presentata nel 1999 con la regìa di Richard Jones, in
cui una scena di seduzione tra due uomini è
rappresentata con assoluta naturalezza e nonchalance,
come potrebbe esserlo una seduzione tra un uomo e una
donna (e con nonchalance, anzi con sincero
entusiasmo, è stata accolta dal pubblico non certo
alternativo di Glyndebourne). Lopera del Novecento non contempla
solo casi di omosessualità esplicita, ma ovviamente la
presenta anche e soprattutto attraverso un caleidoscopio
di immagini e metafore, in questo continuando la
tradizione dei secoli precedenti. La produzione teatrale
di Britten è stata di recente indagata in questo senso
con esiti convincenti, soprattutto riguardo a Peter
Grimes, Albert Herring, Billy Budd, The
Turn of the Screw e Owen Wingrave.[104] Wood ha interpretato le proteiformi
codificazioni del lesbismo nelle opere della compositrice
inglese Ethel Smyth, da Fantasio (1892-94) a Fête
galante (1923).[105] Oltre a ciò un processo di
decodificazione che prenda le mosse dal
vissuto del compositore non è stato altrimenti tentato,
e rimane uneccezione Król Roger (Re
Ruggero, 1926) di Szymanowski.[106] Conoscere o meno lomosessualità di
un compositore apre la porta ad una serie di quesiti
spinosissimi. La conoscenza dellorientamento
sessuale dellautore è la premessa necessaria per
allertare il critico queer circa la possibile
presenza di una rappresentazione metaforizzata
dellomosessualità? Oppure si tratta solo di una
tra le possibili sollecitazioni, in sé non più
importante dellapproccio queer del critico
(che, ribadiamolo ancora una volta, non necessariamente
indica lorientamento sessuale di
questultimo)? Quale rapporto sinstaura tra
biografia ed interpretazione? È possibile servirsi della
biografia per nutrire linterpretazione? Da un lato ci pare interessante notare
come il Novecento offra molti casi di opere di
compositori omosessuali, o comunque dalla sessualità
controversa, che si prestano a letture queer:
oltre ai titoli già ricordati, potremmo nominare La
chartreuse de Parme di Henri Sauguet (1939), Les
dialogues des Carmélites di Francis Poulenc (1957), Martins
Lie (1964) e numerosi altri lavori di Giancarlo
Menotti, Die Bassariden di Hans Werner
Henze (1966), King Priam di Michael Tippett (1962;
il suo The Knot Garden, 1970, presenta due
personaggi apertamente omosessuali), Lohengrin di
Salvatore Sciarrino (1983), The Ghosts of Versailles
di John Corigliano (1991).[107] Sembra poi difficile resistere alla
tentazione di vedere nella rappresentazione ambigua di
Junior, lomosessuale tormentato di A Quiet Place
di Leonard Bernstein (1983), lopaco autoritratto di
un compositore che con la propria sessualità non è mai
venuto a patti. Daltro canto il caso di Sylvano
Bussotti, che della propria omosessualità non ha davvero
mai fatto mistero, ci mette davanti ad opere in cui
leros, in tutte le sue proteiformi manifestazioni,
è esibito con tanta esplicitezza da precludere una
lettura in chiave omosessuale che non voglia rischiare di
essere riduttiva.[108] Un
discorso simile si potrebbe fare per Le grand macabre
di Ligeti (1974-77), che mette in scena una scena di
sesso sadomasochistico tra marito e moglie in cui lui
indossa biancheria intima femminile. Senonché Ligeti non
è omosessuale. Occorre dedurne che le strategie
interpretative e le conclusioni di un approccio queer
alla bussottiana Passion selon Sade e al Grand
macabre dovrebbero essere diverse? Ripensando, per
esempio, alle grandi amicizie ottocentesche, vorremo
rispondere per la negativa. La rappresentazione
operistica della sessualità in generale, e
dellomosessualità in particolare, va indagata in
un contesto che non può limitarsi alla biografia del
compositore (o del librettista), per quanto importante
essa sia. Smith, nellinterpretare la Turandot
pucciniana come «mostro lesbico», riesce a coinvolgere
la Sfinge e Atalanta, Cesare Lombroso e Guglielmo
Ferrero, Il mercante di Venezia di Shakespeare e
la Salome di Strauss, oltre che Gozzi Adami Simoni
Puccini.[109] Un approccio queer allopera
non può che trarre vantaggio dallintersezione dei
contesti potenzialmente infiniti in cui ogni opera si
colloca. Lo storico ed il critico hanno il compito di
mettere in gioco questi contesti, incluso quello della
propria sessualità, in modo che linterpretazione
del testo ne risulti arricchita. ascolto dunque sono: identificazione
dellopera queen Con lultimo decennio di questo
secolo, a partire dal caso emblematico di Koestenbaum, si
assiste a una forte presa di coscienza del pubblico gay
che va allopera. Il binomio gay/opera è diventato
a tal punto scontato da non aver nemmeno bisogno di
spiegazioni. Nel recente musical di Paul Rudnick, Jeffrey
(1995), donde un film di discreto successo, il
protagonista, un giovane gay dai facili e continui
rapporti occasionali, scusandosi col pubblico afferma:
«È falso dire che i gay sono ossessionati dal sesso.
Tutti gli esseri umani sono ossessionati dal sesso. I gay
sono ossessionati dalla lirica». Chi abbia visto un film
di grande successo come Philadelphia di Jonathan Demme
(1993) non avrà certo dimenticato liniziazione
allopera che il protagonista gay propone
allamico eterosessuale: quasi che i gay
possedessero spontaneamente strumenti per godere
lopera che gli altri devono acquisire
con lo studio.
Le radici del fenomeno risalgono assai più addietro che a simili recenti e clamorose manifestazioni hollywoodiane. In Italia il movimento gay degli anni 70 propose uno spettacolo teatrale di successo, La traviata norma, che usava la citazione operistica come strumento di complicità col pubblico gay.[110] Ma fin dal dopoguerra lomosessuale nostrano, magari eccentrico, che ad ogni nuovo allestimento usava attendere ore in fila per assicurarsi il biglietto della prima (e spesso delle repliche) è figura socialmente riconosciuta. Nel 1959 Alberto Arbasino pubblicava Lanonimo lombardo una sorta di metaromanzo e insieme di autobiografia letteraria dove il protagonista, omosessuale, meditava fra laltro sulla propria passione per lopera (senza la determinazione che sarà, più di quarantanni dopo, di Koestenbaum, ma con lo stesso spirito antiaccademico e la stessa piena assunzione di responsabilità). Lanonimo è di per sé rappresentazione di un modo di sentire e, nello specifico, identificazione di una tipologia dellappassionato dopera che, nata fra i coetanei del men che trentenne Arbasino,[111] prende piede sulla base di unapparente predisposizione italica bendisposta sia al canto sia allomosessualità che sembra quasi incisa nel DNA nazionale: Poniamo, un ragazzo qualunque
va
in giro per divertirsi, e per essere gentile gli capita
di accompagnare allArena di Verona qualche
americano ... se questo ragazzo è appena un po
italiano e se è propenso a far marchette, è
probabile che abbia anche le altre caratteristiche
nazionali, i colori accesi, le scarpe a punta, e,
appunto, la passione per il canto per disancorato
e privo di tradizioni che sia, non può non restar
toccato da quel lirismo struggente
sto
ragazzo deve per forza sentir sciogliersi un nodo, e
qualcosa che si risveglia dentro, come riconoscendo un
altro se stesso.[112] Che tale figura si sia evoluta da color locale ad oggetto dindagine musicologica lo si deve però al dibattito americano di questi ultimi anni. Lopera
queen, letteralmente regina
dellopera dove regina
assume il valore gergale di gay effeminato
, se in origine poteva essere lappassionato,
forse colto, sicuramente appariscente, che non mancava di
sporgersi dal palco per gridare brava!, ora è
più un luogo del sentire, tale per cui un intellettuale
in doppio petto come Koestenbaum può definirsi opera
queen solo perché visceralmente, fisicamente
attratto dallopera, addirittura a prescindere dalla
sua omosessualità. In Italia siamo ben lontani dal
rilevare simile mutazione, e il corrispettivo di opera
queen, melochecca, è ancora un uso
gergale vagamente offensivo. La differenza è
etimologica: melochecca è variante gay di melomane,
mentre opera queen è una delle tante possibili queen
appartenenti alla comunità gay. In questultimo
caso lattivista omosessuale si mette la cravatta e
va a teatro, mentre in Italia il loggionista posa
furtivamente una mano sulla coscia del vicino.[113] La rivendicazione da parte del pubblico gay americano di una specifica sensibilità, capace non solo di cogliere in modo personale il teatro dopera ma nel contempo di condizionarne gli indirizzi e le scelte culturali, è forse il fenomeno più significativo della recezione musicale attuale di cui la musicologia si sia accorta. Il solito Koestenbaum (con la quasi postfazione del 1998), ma anche i contributi di Kopelson e Morris[114] e altri non accademici,[115] nonché un testo teatrale di straordinario successo come The Lisbon Traviata (1986),[116] hanno saputo cogliere nel teatro dopera manifestazioni che costituiscono, luna accanto allaltra, limmaginario possibile di una sensibilità omosessuale, e in questo senso la giustificano. In altre parole, se lo spettatore (ma il discorso vale per il compositore, il librettista, limpresario, il cantante, lo studioso) riconosce come omosessuali elementi altrimenti trascurati dallapproccio eterosessuale vuoi lambiguità di un ruolo en travesti, vuoi lidentificazione nella primadonna, vuoi la percezione del teatro dopera come luogo di deroga o esenzione dalla norma[117] , tali elementi tutti insieme legittimano essi stessi una sensibilità che possiamo anche chiamare omosessuale ma che, come valore collettivo, appartiene a tutti. A questo punto chiunque, a prescindere dai propri gusti, può lasciarsi sedurre dalle ambiguità di ruolo, partecipare ai turbamenti del soprano, insomma ammettere di appartenere al mondo dellopera.[118] Che lapproccio musicologico allidea di opera queen sia più unastrazione teorica che unindagine sociologica del fenomeno è ben sottolineato da Kopelson.[119]Ma in questo teorizzare non vè nulla di sistematico: allorganizzazione è preferita la giustapposizione, alla dimostrazione levidenza. Va in questa direzione lelenco ragionato di queer moments operistici proposti da Koestenbaum fra i più suggestivi il «Sempre libera» di Violetta che in un esuberante trionfo di trilli mostra la disinibita sessualità di una donna in fondo sola con sé stessa, quasi metafora dello stereotipo gay (guarda caso: gaio) civettuolo e sorridente ma profondamente malinconico che un po rilegge a proprio uso scene dopera, un po usa lopera per capire sé stesso[120] e un po, viceversa, svela sottotesti omosessuali inconsapevoli.[121] In ogni caso tale elenco obbliga ad ammettere la possibilità dellascoltare con un orecchio gay. Non si tratta di una manipolazione scaturita dalla pretesa legittimità di qualsiasi soggettivismo, ma da unoperazione di arricchimento che offre allopera un valore aggiunto. Questo tipo dinterpretazione, per quanto personale, rimanda comunque ad una percezione in cui si riconosce potenzialmente un gruppo esteso di individui che contribuisce a delineare la storia dellopera stessa; in questo senso, che la gobba di Rigoletto possa diventare appiglio per la diversità omosessuale è, quantomeno da un punto di vista della recezione, parte integrante dellopera stessa. Ma lelemento centrale, in certo qual modo il punto di partenza imprescindibile dogni approccio sociologico al rapporto fra opera e pubblico gay è la dipendenza quasi maniacale che lega lopera queen alla protagonista femminile del repertorio lirico soprattutto ottocentesco. Donna Elvira, Lucia, Norma, Violetta, Tosca, Mimì, Butterfly diventano archetipo di un modello sentimentale da cui pochi appassionati dopera gay si sentono estranei. Il tentativo di comprendere in quali termini la sensibilità gay contemporanea possa ritrovarsi in un immaginario sentimentale ottocentesco può svelare meccanismi drammaturgici romantici e borghesi e permette di rileggere luso e labuso che delle emozioni fa questo repertorio. Morris ammette che la partecipazione dellopera queen agli struggimenti di Lucia o Violetta non si trasforma in estrapolazione del personaggio dal contesto drammatico, come certi fanatismi per mitiche primedonne potrebbero far pensare. È invece proprio il contesto melodrammatico, e la reazione ad esso, che giustifica il fascino.[122] Tosca che trae forza dal giogo opprimente di una persecuzione sessuale e politica per trasformarsi in omicida è soprattutto vittima di un sistema ostile, ed è proprio tale sistema oppressivo che è riconosciuto come proprio: non molto diverso dallambiente di lavoro dove lopera queen in giacca e cravatta deve far credere di essere e sentire qualcosa che non è e non sente, lusingando Scarpia o il proprio superiore. Lascoltatore gay, però, non ammazzerà mai il capufficio né si getterà da Castel SantAngelo per un amore perduto. Tosca, che «visse darte e damore», è ciò che lopera queen non sarà mai, pur convincendosi del contrario. Tosca / Violetta / Butterfly cest moi diventa un modo struggente di autolusingarsi, tanto più necessario per chi vive quotidianamente il biasimo sociale. In questi termini la costante condizione di abbandono o di perdita che pervade le trame dopera ottocentesche trova facile predisposizione in chi percepisce il proprio amore comunque svincolato dai collanti sociali la famiglia, il matrimonio, il pubblico riconoscimento, lo status civile e pertanto privo di punti dappoggio. La fragilità di questo amore obbliga il medesimo ad essere nel contempo eccessivo, enfatico, totale (per giustificarne lesistenza) e insieme disperato, ansioso, caduco (perché privo di conferme esterne). La condizione gay, che spontaneamente coglie lattualità di ciò che nellopera si suol liquidare come anacronismo, permette di tracciare un parallelo fra lo scollamento contemporaneo (lopera queen che si riconosce nellimmaginario melodrammatico) e quello ottocentesco. I contemporanei di Verdi avranno potuto riconoscere in Violetta qualcosa di non molto diverso, quella parte di sé negata dalla società borghese ottocentesca. Lenfasi emotiva di Violetta giustifica il sentimento che esiste a prescindere da tutto, dalla famiglia dalla società dalla chiesa, e trasforma quel sentimento in qualcosa di vivo, reale, fisico, capace, in certo qual modo, dinsegnare agli Italiani che quel sentimento esiste, che è lì, a disposizione di chiunque si sappia guardar dentro, sappia essere sé stesso a prescindere dai condizionamenti esterni. Un modo, se si vuole, per educare allamore. Laltro elemento che caratterizza lopera queen è la fascinazione quasi feticistica per il canto lirico. Largomento, ampiamente trattato da Koestenbaum, è stato poi ripreso dai recensori, particolarmente da Robinson.[123] Non vè dubbio che lo sforzo fisico del cantante dopera sia avvicinabile a quello atletico o sessuale, ma forse il paragone tra la fisicità del vibrato e lemozione sessuale, o linvocazione del potenziale erogeno della bocca, sono solo proiezioni a posteriori.[124] La sessualizzazione del canto lirico sarebbe trascurabile, se non venisse messo in gioco un altro ben più discriminante elemento: quello che ormai sempre più spesso si definisce la potenzialità penetrativa della voce. Lidea della voce come fallo, derivata da Lacan solo alla lontana, pervade un po tutta la queer theory che si occupa di lirica. La posizione di Lacan è meno sessualizzante di quanto vorrebbero alcuni commentatori americani (semplificando: il fallo per lo psicanalista francese è il potere che si crede sia nellaltro di ricostituire ununità originaria che il soggetto in realtà non ha mai posseduto);[125] eppure non si può negare che la scelta terminologica ammetta, con Freud, la centralità della sessualità nel costruire la soggettività. Poizat elabora con ingegno le tesi di Lacan dal punto di vista della voce operistica, ma non per questo è interessato a confrontarsi con lomosessualità.[126] Koestenbaum, celebrando la corporeità della voce e la sua azione fisicamente penetrativa, si allontana dalle teorie psicanalitiche del linguaggio per dichiarare un proprio modo di sentire, e in certo qual modo esplicitare una condizione di passività dellascoltatore dopera, quali che siano le sue predilezioni sessuali. In questo senso la voce fallica di Koestenbaum si può riallacciare alla concezione della voce come sperma di Angelini Bontempi, e il feticismo sessualizzato con cui viene descritto latto del cantare (cap. V) rientra nel mito della vocalità, mito esasperato da una tipologia riconoscibilissima di spettatore dopera, interessato esclusivamente al canto, per cui solo esiste il canto e tuttal più lattore di tale emissione (uno spettatore quindi non necessariamente omosessuale).[127] E lidea di tale vocalità, ripresa da Robinson,[128] sembra elemento condivisibile soprattutto da un pubblico gay, in quanto quel pubblico si dichiara implicitamente disposto a essere penetrato. La fascinazione del canto, fascinazione erotica e dunque equiparabile a un orgasmo, riesce a trasformare il cantante (o più probabilmente la cantante, che contemporaneamente incarna anche il ruolo di uneroina abbandonata) in oggetto di venerazione da parte dellopera queen. Colei che produce quel canto Koestenbaum parlerebbe di erezione diventa lamante perfetta, mistica, irraggiungibile, divina. La Callas fu, ed è ancor oggi per la grande maggioranza del pubblico gay, personificazione emblematica di tale amore-venerazione. Nella citata Traviata di Lisbona, Terrence McNally, raccontando la fissazione maniacale di Mandy per una celebre registrazione dal vivo dellopera con la Callas (Lisbona, 27 marzo 1958), erge ad emblema un comportamento tipico di moltissime opera queen. Per Mandy, gay di mezzetà, solo, immalinconito da un amore consumato, il recupero di quellincisione è la compensazione indispensabile, addirittura esistenziale, di un amore che non cè: nel caso specifico che non cè più, ma che potrebbe non esserci stato mai angoscia dellimmaginario di molti gay. La cantante si trasforma in amante, perché quella è lunica relazione possibile (anche in senso fisico), lunica che la società concede. Quella cantante, ma eventualmente anche quel cantante, su cui viene proietatta una così forte aspettativa, diventa la compensazione di ogni amore finito o mai iniziato, di ogni delusione sentimentale trasformata in fallimento. Potremmo chiederci quanta incidenza abbia il pubblico omosessuale sul successo del teatro dopera. È innegabile che tutto il sistema odierno che ruota intorno allopera tragga nutrimento da quella che cinicamente vien chiamata unampia fetta di mercato, e che condiziona a vari livelli le scelte dei nostri Enti Lirici. Al di qua del palcoscenico abbiamo quindi un pubblico gay, apparentemente competente (e che pertanto si assume lincarico di disquisire sul gusto), non scientificamente agguerrito ma sufficientemente aggressivo da poter insegnare allascoltatore occasionale cosa sia giusto o sbagliato nellopera. La scena teatrale, specificamente operistica, è popolata da cantanti, uomini e donne, i quali, per motivi che qui non è possibile investigare, sono in percentuale significativa omosessuali. Dietro le quinte operano direttori artistici, agenti, scenografi, sovrintendenti, direttori, registi che, se non sono essi stessi gay, sono comunque circondati da segretari, aiutanti, addetti stampa, portaborse e quantaltro che lo sono.[129] Attorno si dispongono critici musicali e redazioni di riviste dedicate allopera a forte incidenza gay. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratta affatto di un sistema coeso e organizzato: sono più frequenti le rivalità e le contraddizioni che non le complicità pseudomassoniche, eppure non si può negare che certi aspetti della produzione operistica odierna siano tenuti in piedi da tale sistema. Un caso emblematico (per evitare di trattare episodi specifici) è il disinteresse per le competenze attoriali dei cantanti, che probabilmente si ricollega proprio al feticismo vocale raccontato da Koestenbaum. Non si fraintenda: il pubblico gay ha più meriti che torti nei confronti dellopera, e daltra parte lopera queen, anche quella nostrana, è oggi assai diversificata non solo culturalmente ma anche generazionalmente. Diventa sempre più consapevole un atteggiamento critico e autocritico che lascia ben sperare per il futuro. Un indizio significativo: proprio allinterno della comunità gay dOltreoceano si è rapidamente diffusa una rivista, intitolata «Parterre Box: The Queer Opera Zine», esplicitamente rivolta al lettore gay appassionato dopera;[130] il taglio apparentemente scanzonato in realtà nasconde una posizione critica radicale (già espressa nel riconoscimento esplicito di un pubblico gay che va allopera) che svela senza complimenti, magari con una battuta, finzioni e meschinerie del mondo della lirica, delle agenzie di canto, del mercato discografico (assenti ovviamente i coercitivi inserti pubblicitari che invadono le altre riviste dopera). Un esempio più significativo di altri: sul n. 31 (marzo-aprile 1998) apparve unintervista a David Daniels, il controtenore che, con una voce quasi indistinguibile da quella duna donna, ha fatto cambiare idea a molti che nel registro di falsetto detestavano lassenza di passionalità. Lesibita virilità di Daniels ha improvvisamente fatto scoprire a molte opera queen (e non solo) che la carica erotica maschile può appartenere anche ad una voce di mezzosprano. (Daniels fra laltro aveva già coraggiosamente dichiarato la propria omosessualità in unintervista apparsa sul «New Yorker» del 10 novembre 1997.) James Jorden, lintervistatore di «Parterre Box», smitizza con una frase tutta la costruzione da divo proposta dai media americani: «Ho detto a un paio di persone che ti avrei intervistato, e entrambi mi hanno chiesto un ricciolo dei tuoi peli del petto». Daniels è probabilmente il miglior controtenore del momento, ma è indubbio che il sistema non si accontenti affatto delle qualità professionali e punti gran parte della forza seduttiva sulla personalità e sulla prestanza fisica.[131] Forse a qualche lettore questa rivisitazione del mercato dellopera parrà, se non del tutto fantasiosa, un po esasperata. Non abbiamo difficoltà a credere che molti, pur disposti a rilevare qua e là qualche manifestazione gay, resistano allidea di un sistema così diffuso e ramificato. La verità, al solito, sta nel mezzo; la consistente presenza gay è reale, ma è anche vero che lomosessualità non è uno stato nello stato, e tende di preferenza ad integrarsi. Si potrebbe osservare che tale abilità mimetica, in fondo equivoca dopo trentanni di gay pride, ci si vergogna ancora della propria identità e spesso ci si autocensura , abbia assicurato la sua sopravvivenza. Certo è che labitudine ad accomodarsi negli spazi della cultura lasciati liberi, di occultarsi fra stratagemmi e compromessi, di assumere forme di volta in volta mutevoli a seconda delle circostanze, ha reso in gran parte impossibile distinguere una cultura espressamente gay. Anzi, il desiderio omosessuale è sempre stato così tanto proprio della cultura tout court che pretendere di volerlo trascurare è il primo passo per privarsi degli strumenti necessari a (ri)conoscere le manifestazioni di tale cultura: la nostra cultura, quella di tutti. La verità è che il desiderio, sia etero sia omosessuale, ha sempre avuto più o meno bisogno degli alibi morali per potersi manifestare. Forse il moderno occhio queer nel nostro caso anche lorecchio potrebbe contribuire proprio a questo: a svelare artifici e costruzioni, a riconoscere finzioni (non solo le proprie), in una parola a guardare e sentire oltre, oltre tutto ciò che è dato per certo, consolidato, acquisito. |
______________
Ringraziamo per lincoraggiamento e i
suggerimenti Marco Beghelli, Lorenzo Bianconi, Suzanne G. Cusick,
Giovanni DallOrto, Maria G. Di Rienzo, Wayne Dynes, Marco
Emanuele, Roger Parker e Judith Peraino. Un grazie particolare a
Giuseppina La Face Bianconi, che con gentile fermezza ha spazzato
via i nostri dubbi e le nostre esitazioni e ci ha definitivamente
convinti ad iniziare questo lavoro.
[1] In una ricognizione come la nostra, il privato
potrebbe apparire superfluo; ma già Eve Kosofsky Segdwick,
storica della letteratura inglese ed una delle voci più
interessanti della teoria queer, ricordava che «in molti
casi significativi queer può aver senso solo quando
lo si pronuncia in prima persona» (E. K. Sedgwick, Tendencies,
Durham, Duke University Press, 1993, p. 9); e in ogni caso
preferiamo evitare lequivoco fra lessere e
lagire p. es. dellultimo
Catechismo, che tollera il primo per condannare il secondo
, che si riproporrebbe se distinguessimo fra
lastrazione teorica (dellapproccio musicologico) e il
quotidiano (nostro o di chiunque altri). Aggiungiamo che le
riflessioni qui presentate si basano peraltro su interessi
specifici e curricula differenziati: Davide Daolmi (daolmi@fastwebnet.it)
si è occupato soprattutto di opera barocca, si muove
nellambito musicologico italiano ed ha conosciuto i queer
studies grazie a sollecitazioni ed interessi sviluppati al di
fuori delluniversità; Emanuele Senici (emanuele.senici@music.ox.ac.uk)
è un ottocentista che lavora attualmente in Inghilterra e che ha
incontrato i queer studies sui banchi della scuola di
dottorato negli Stati Uniti.
[2] «Homosexuality is a way of singing. I
cant be gay, I can only sing it, disperse it.
I cant knock on its door and demand entrance because it is
not a place or a fixed location. Instead, it is a million
intersections or it is a dividing line, a membrane, like
the throat, that separates the bodys breathing interior
from the chaotic external world» (W. Koestenbaum, The
Queens Throat: Opera, Homosexuality, and the Mystery of
Desire, New York, Poseidon, 1993, p. 156). Con
leccezione di questunico arduo passo, tutte le
citazioni in lingua straniera sono qui proposte solo in
traduzione: cinteressa principalmente coinvolgere il
lettore italiano su temi per lui probabilmente nuovi, e
lesigenza dellintelligibilità, unita alla tirannia
dello spazio, ha avuto la meglio sulla completezza.
[3] La bibliografia in questo senso è vastissima;
fra le più significative raccolte di saggi, cfr. The Lesbian
and Gay Studies Reader, a cura di H. Abelove, M. A.
Barale e D. M. Halperin, New York - London, Routledge, 1993,
con più di quaranta contributi.
[4] Per una sintesi critica sul rapporto fra
musicologia e femminismo, cfr. S. G. Cusick,Gender,
Musicology, and Feminism, in Rethinking Music, a cura
di N. Cook e M. Everist, Oxford, Oxford University
Press, 1999, pp. 471-498. Per un esempio recentissimo di
interpretazione dellopera in rapporto alle concezioni
occidentali della soggettività, cfr. G. Tomlinson,
Metaphysical Song: An Essay on Opera, Princeton, Princeton
University Press, 1999.
[5] Fra le più significative ricordiamo quelle di
K. Kopelson,«19th-Century Music», XVII, 1993/94,
pp. 274-285, poi ampliata come Metropolitan Opera /
Suburban Identity, in The Work of Opera: Genre,
Nationhood, and Sexual Difference, a cura di
R. Dellamora e D. Fischlin, New York, Columbia
University Press, 1997, pp. 297-313; H. Hadlock, «Cambridge
Opera Journal», V, 1993, pp. 265-275; Ch. Rosen,
The Ridiculous & Sublime, «New York Review of Books»,
22 aprile 1993, pp. 10-15, e P. Robinson, The Opera
Queen: A Voice from the Closet, «Cambridge Opera Journal»,
VI, 1994, pp. 283-291. Il dibattito omosessuale è tuttora
in fermento nelle università nordamericane, con corsi e seminari
specifici; da qualche hanno si è inoltre formato
allinterno della American Musicological Society un
Gay and Lesbian Study Group.
[6] Il disagio è
stato eretto a strumento di conoscenza in S. G. Cusick,On
a Lesbian Relationship with Music: A Serious Effort Not to Think
Straight, in Queering the Pitch: The New Gay and Lesbian
Musicology, a cura di Ph. Brett, E. Wood e
G. C. Thomas, New York - London, Routledge, 1994,
pp. 67-83, che sceglie proprio la metafora di una lingua
straniera (per Cusick litaliano) quale modalità espressiva
di una diversità, del suo «essere fuori sistema» (p. 67,
in italiano), del suo essere americana, musicista, donna,
lesbica. Cusick apre il suo articolo con uno stratagemma
metalinguistico, dichiarando in italiano un italiano
improbabile, commovente, intriso dei secentismi assorbiti in
seguito ai propri studi il proprio disagio a usare
linglese, lingua troppo familiare per lei e i suoi lettori,
una lingua in cui «dire la parola lesbica tra i
musicologi è come parlare una lingua straniera» (p. 68, in
inglese).
[7] Cfr. The Oxford English Dictionary, 2a
ed. in 26 voll., Oxford, Oxford University Press, 1994, ad
vocem. È pratica diffusa riferire la pratica omosessuale
agli stranieri (non a caso bùggero da cui
buggerone deriva da bulgaro, e frocio
significava in origine francese, poi
straniero; cfr. G. DallOrto Le parole
per dirlo. Storia di undici termini relativi
allomosessualità, «Sodoma», III, 1986,
pp. 81-95.
[8] Con gender ci si riferisce agli aspetti
della sessualità determinati dalla cultura e dalla società.
Anche lItalia che rende gender con
genere o con identità sessuale si
è recentemente lasciata coinvolgere: cfr. per esempio Genere.
La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura
di S. Piccone Stella e C. Saraceno, Bologna, Il Mulino,
1996.
[9] Il capitolo in questione (già in T. Castle,
The Apparitional Lesbian: Female Homosexuality and Modern
Culture, New York, Columbia University Press, 1993,
pp. 200-238) è ripubblicato in En Travesti: Women,
Gender Subversion, Opera, a cura di C. E. Blackmer e
P. J. Smith, New York, Columbia University Press, 1995,
pp. 20-58, col titolo In Praise of Brigitte Fassbaender:
Reflections on Diva-Worship.
[10] «Il sodomita
era un recidivo; lomosessuale ormai è una specie» è
lasserto, ormai eretto a slogan, che identifica il
fondamento della queer theory: M. Foucault, Storia
della sessualità, I: La volontà di sapere (1976),
Milano, Feltrinelli, 1978, p. 43.
[11] Cfr. Encyclopedia of Homosexuality, 2
voll., a cura di W. R. Dynes, New York - London, Garland,
1990, I, p. 555 sgg.
[12] Cfr. D. F.
Greenberg, The Construction of Homosexuality, Chicago,
University of Chicago Press, 1988, e Forms of Desire: Sexual
Orientation and the Social Construction Controversy, a cura
di E. Stein, New York - London, Garland, 1990.
[13] Cfr. J. Katz,
The Invention of Heterosexuality, New York, Plume, 1995.
Molto importante in questo contesto è stata la teorizzazione,
dovuta ad Adrienne Rich, del concetto di lesbian continuum,
un termine che comprende un ampio spettro di relazioni femminili
non necessariamente sessuali, e che ha introdotto una
comprensione della sessualità individuale come un punto mobile
su una linea continua di possibili identificazioni psicologiche
ed emotive e di pratiche corporee: cfr. A. Rich,
Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence (1980), in The
Lesbian and Gay Studies Reader cit., pp. 227-254. La
proposta di Rich ha poi alimentato limponente teorizzazione
filosofica di J. Butler, Gender Trouble: Feminism and the
Subversion of Identity, New York - London, Routledge, 1990,
ed Ead., Bodies That Matter: On the Discoursive Limits of
Sex, ivi, 1993.
[14] Per una
posizione in questo senso, articolata e ricca di sollecitazioni,
cfr. L. Bersani, Homos. Diversi per forza (1995),
Milano, Pratiche, 1998.
[15] Conseguenza rivelatrice di questabbaglio
sono per esempio le traduzioni italiane che tendono a risolvere
in senso eterosessuale le ambiguità sessuali. Si pensi al Lied
di Goethe musicato da Schubert, Nähe des Geliebten (1815):
in italiano il titolo diventa Presenza dellamata (Lieder,
a cura di V. Massarotti Piazza, Milano, Garzanti, 1982,
p. 118), che da un lato risolve in modo del tutto parziale
il neutro delloriginale tedesco, e nel contempo trascura di
osservare che loggetto amato è avvicinato
allimmagine dun viandante notturno (figura assai poco
femminile). Non cè bisogno di tirare in ballo il privato
omosessuale di Goethe o Schubert per avvalorare che il femminile
calza male: è prima di tutto una questione linguistica.
[16] Cfr. A. Poznansky,
Tchaikovsky: The Quest for the Inner Man, New York,
Schirmer, 1991, e Id., Tchaikovskys Last Days: A
Documentary Study, Oxford, Oxford University Press, 1996. Il
lettore italiano può leggere la prefazione che la scrittrice
russa Nina Berberova aggiunse alla traduzione francese (1987)
duna sua biografia del compositore (pubblicata per la prima
volta a Berlino nel 1935), in cui ricorda come
lomosessualità fosse pratica diffusa e tollerata
nellaristocrazia russa di fine secolo: cfr. N. Berberova,
Il ragazzo di vetro: Cajkovskij, Parma, Guanda, 1993. Sui
rapporti fra sessualità e composizione in Cajkovskij val
forse la pena segnalare T. L. Jackson, Aspects of
Sexuality and Structure in the Later Symphonies of Tchaikovksy,
«Music Analysis», XIV, March 1995, pp. 1-26.
[17] R. Taruskin, Pathetic Symphonist,
«The New Republic», 6 febbraio 1995, pp. 26-40: 34.
[18] Si tratta
dellallestimento della compagnia Music Theater London,
presentata al Lyric Theatre di Hammersmith nel giugno del 1999.
[19] M. Laycock,
An Operatic Outing, «The Pink Paper», 20 maggio 1999,
p. 16.
[20] «Poiché
lomosessualità non ha goduto di un discorso su sé stessa
pubblicamente sancito, il testo omosessuale si è
dovuto occultare fra le pieghe di un discorso dominante e
nascondere con abilità, in modo da prevenire qualsiasi
insinuazione circa la sua presenza e nel contempo rivelarsi in
trasparenza. Fino a ieri, i lavori che esibivano passioni
omosessuali hanno messo in atto unelaborata strategia di
messaggi riconoscibili e codificati, nascosti e palesi»
(M. Roth, Homosexual Expression and Homophobic
Censorship: The Situation of the Text, in Camp Grounds:
Style and Homosexuality, a cura di D. Bergman, Amherst,
University of Massachusetts Press, 1993, pp. 268-281: 268).
[21] G. Contini,
Filologia, nel suo Breviario di ecdotica, 2a
ed., Torino, Einaudi, 1990, pp. 3-66: 5.
[22] Cfr. H. G.
Gadamer, Verità e metodo (1960), Milano, Bompiani, 1983;
J. Habermas, Conoscenza e interesse (1968), Bari,
Laterza, 1970; P. Ricur, Dellinterpretazione.
Saggio su Freud (1965), Milano, Il Saggiatore, 1967.
[23] D. LaCapra,
History, Language, and Reading: Waiting for Crillon,
«American Historical Review», C, 1995, pp. 799-828: 825,
826 sg.
[24] R. Taruskin,
Defining Russia Musically: Historical and Hermeneutical Essays,
Princeton, Princeton University Press, 1997, p. xxi.
[25] E. K. Sedgwick, Paranoid Reading and
Reparative Reading; Or, Youre So Paranoid, You Probably
Think This Introduction is About You, in Novel Gazing:
Queer Readings in Fiction, a cura di E. K. Sedgwick,
Durham, Duke University Press, 1997, pp. 1-37: 30.
[26] Koestenbaum, The Queens Throat
cit., p. 179.
[27] Altri preferiscono interpretazioni diverse. Un
teorico notoriamente gay come Roland Barthes leggeva il mito
dOrfeo quale «eponimo della filosofia», perché «un
discorso che si guarda alle spalle è per ciò stesso un discorso
teoretico» (R. Barthes, La grana della voce. Interviste
1962-1980, Torino, Einaudi, 1986; cit. in B. Engh, Loving
It: Music and Criticism in Roland Barthes, in Musicology
and Difference: Gender and Sexuality in Music Scholarship, a
cura di R. Solie, Berkeley - Los Angeles, University of
California Press, 1993, pp. 66-79: 69).
[28] «Rana, tu che
sai nuotare, aiutami ad attraversare il fiume» «No,
scorpione, altrimenti mi pungerai» «Non posso pungerti,
se tu morissi morirei affogato anchio». La rana si prende
sulle spalle lo scorpione e si butta in acqua; a metà del fiume
lo scorpione la punge «Scorpione, perché mi uccidi?»
«Mi dispiace, rana, ma è la mia natura». Questa vecchia
storiella viene raccontata in un recente film di Oliver Stone, Natural
Born Killer (1994), chiave di lettura dellintera
sanguinaria vicenda, e in certo qual modo pendant di un
altro contestatissimo film, Cruising (1980) di William
Friedkin (cfr. V. Russo, Lo schermo velato.
Lomosessualità nel cinema [1981], Genova, Costa &
Nolan, 1984, pp. 294-296), che attua un parallelo fra
listinto omicida e quello omosessuale, entrambi giudicati
tanto antisociali quanto intrinsecamente propri alla natura
umana.
[29] È sintomatico
che il figlio di Bardi, implicitamente contrapponendosi alla
dissolutezza delle successive accademie di Corsi,
voglia precisare nel 1634 che i consessi del padre si svolgevano
«stando lontano dal vizio»: cit. in N. Pirrotta, Temperamenti
e tendenze nella Camerata Fiorentina (1954), nelle sue Scelte
poetiche di musicisti, Venezia, Marsilio, 1987,
pp. 173-195.
[30] Cfr. D. Daolmi, «Arte sol da puttane e
da bardasse». Prostituzione maschile e nobile vizio
nella cultura musicale della Firenze barocca, «Civiltà
musicale», VI, nn. 14-15, 1992, pp. 103-131: 107-110.
[31] Già Dürer,
nellincisione intitolata Morte dOrfeo (1494),
riporta nel cartiglio in alto la scritta «Orpheus Der Erst
Puserant», letteralmente «il primo buggerone, il primo
sodomita»: cfr. E. Panofsky, La vita e le opere di
Albrecht Dürer (1943), 2a ed., Milano,
Feltrinelli, 1979; sulla cultura classica, Orfeo e
lomosessualità, cfr. W. R. Dynes, Orpheus Without
Eurydice, «Gai Saber», I , 1978, pp. 267-273. Nello
stesso 1494 fu pubblicata la Favola dOrfeo del
Poliziano, che ad Orfeo convertito a sodomitici intenti mette in
bocca questottava: «Fanne [= ne fa] di questo Giove intera
fede, | che dal dolce amoroso nodo avinto | si gode in cielo il
suo bel Ganimede; | e Phoebo in terra si godea Hiacinto. | A
questo sancto amore Hercole cede | che vinse i monstri e dal bel
Hyla è vinto: | conforto e maritati a·ffar divorzio, | e
ciascun fugga il feminil consorzio».
[32] Cfr. B. Sergent, Lomosessualità
nella mitologia greca (1984), Bari, Laterza, 1986,
p. 101.
[33] S. McClary,
La costruzione dellidentità sessuale nelle opere
drammatiche di Monteverdi (1991), «Musica/Realtà», XIV,
n. 41, 1993, pp. 121-144: 134 sg., sembra voler
trascurare le circostanze storiche quando pretende di legare la
(presunta) scarsa fortuna di pubblico della prima
rappresentazione allambiguità dei valori espressi dal
protagonista, quasi «prototipo delleroe femminilizzato».
[34] Sulla recezione
del mito nellOttocento, cfr. D. Kosinski, Orpheus
in Nineteenth-Century Symbolism, Ann Arbor, UMI Research
Press, 1989.
[35] Koestenbaum, The Queens Throat cit., p. 180.
[36] Cfr. Daolmi, «Arte
sol da puttane e da bardasse» cit.
[37] Cfr. L. Bianconi
- Th. Walker, Dalla Finta pazza alla
Veremonda: storie di Febiarmonici, «Rivista
italiana di Musicologia», X, 1975, pp. 379-454: 418-424.
Più in generale sullaccademia, cfr. M. Miato, LAccademia
degli Incogniti di Giovan Francesco Loredano, 1630-1661,
Firenze, L. S. Olschki, 1998.
[38] Cfr.
lintroduzione ad A. Rocco, LAlcibiade
fanciullo a scola, a cura di L. Coci, Roma, Salerno,
1988, pp. 7-34 e 95-98.
[39] Si leggano al
proposito G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria
dellimpostura delle religioni nel Seicento italiano, 2a
ed., Firenze, La Nuova Italia, 1983; S. Bertelli, Ribelli,
libertini e ortodossi nella storiografia barocca, ivi,
1973, pp. 193-218, e soprattutto G. Martini, Il
«vitio nefando» nella Venezia del Seicento. Aspetti sociali e
repressione di giustizia, Roma, Juvence, 1988,
pp. 104-111. Per le strette relazioni fra ambienti libertini
e omosessuali in questi anni, cfr. G. DallOrto, La
natura è madre dolcissima. Laccettazione
dellomosessualità nel libertinismo italiano dei secoli XVI
e XVII, «Sodoma», V, 1993, pp. 27-41, e
laggiornamento bibliografico ivi segnalato. Il recentissimo
articolo di W. Heller, Tacitus Incognitus: Opera As
History in Lincoronazione di Poppea,
«Journal of the American Musicological Society», LII, 1999,
pp. 39-96, è il primo importante contributo musicologico
che non ignora (o non finge dignorare) il potenziale
eversivo delle teorie sorte in seno allAccademia degli
Incogniti.
[40] Un
significativo riferimento in P. Fabbri, Il secolo
cantante. Per una storia del libretto dopera nel Seicento,
Bologna, Il Mulino, 1990, p. 109.
[41] Sosservi
che in questa scena (II, vi) il nome di Poppea non è mai
pronunciato, e semmai il motivo di tanto compiacimento è la
morte di Seneca («Or che Seneca è morto, | cantiam, cantiam,
Lucano»). Di più: la musica una sorta di kamasutra
sonoro sembra dettagliare addirittura le
posizioni sessuali assunte, lasciando a Lucano il
ritmo incalzante («minebria il cor») e a Nerone poco più
dun gemito, un rantolo reiterato («Ahi destin!»); che
tutto si plachi alle parole «nettare divino» pronunciate su
uninsistita cadenza dilatata allo spasimo fuga
ognaltro dubbio in merito (di grande efficacia la moderna
interpretazione di René Jacobs nel CD Harmonia Mundi France,
1990).
[42] Non stupisce
che proprio il citato Antonio Rocco sia lautore del
trattatello Amore è un puro interesse; nel suo Della
bruttezza, a cura di W. Lupi, Pisa, ETS, 1990.
[43] Diversa
lampia interpretazione di W. Heller, The Queen As
King: Refashioning Semiramide for Seicento Venice,
«Cambridge Opera Journal», V, 1993, pp. 93-114, che
peraltro ammette la centralità anche strutturale del duetto con
Lucano nellimpianto drammatico della Poppea; cfr.
inoltre T. Carter, Re-reading Poppea: Some
Thoughts on Music and Meaning in Monteverdis Last Opera,
«Journal of the Royal Musical Association», CXXII, 1997,
pp. 173-204.
[44] Cfr. E. Rosand,
Barbara Strozzi, «virtuosissima cantatrice»: The
Composers Voice, «Journal of the American
Musicological Society», XXXI, 1978, pp. 241-281: 245.
[45] Cfr. «Early
Music», XXVII, n. 3, 1999, numero monografico intitolato Laments,
con saggi di L. Stras, L. Holford-Strevens,
T. Carter, A. MacNeil, J. Brooks e S. G.
Cusick.
[46] Già A. De
Rinaldis, Marcantonio Cesti musicista del XVIIsecolo da
lettere inedite di Salvator Rosa, «Urbe», III, 1939,
pp. 20-25, sulla scorta di alcune lettere di Salvator Rosa,
faceva riferimento allomosessualità di Cesti.
[47] Cfr. G. C.
Thomas, Was Georg Frideric Handel Gay?: On Closet
Questions and Cultural Politics, in Queering the Pitch
cit., pp. 155-203.
[48] C. Hogwood,
Georg Friedrich Händel (1984), Pordenone, Studio Tesi,
1991, p. 71, ironizza sulla disinformazione perpetrata.
[49] Un ampio
florilegio in Les chansons libertines de Claude de Chouvigny,
baron de Blot LÉglise, 1605-1655, a cura di
F. Lachèvre, Genève, Slatkine, 1968.
[50] Il caso più
clamoroso è ovviamente quello di Atto Melani, sul quale cfr.
R. A. Freitas, Un Atto dingegno: A
Castrato in the Seventeenth Century, Ph.D. diss., Yale
University, 1998.
[51] I testi di riferimento rimangono ancor oggi
H. Prunières, Lulli. La vita e le opere (1909),
Milano, Bocca, 1950, e più nello specifico Id., La vie
illustre et libertine de Jean-Baptiste Lully, Paris, Plon,
1929, le cui notizie sono poi riprese in R. Amar, Un
sodomite de génie: Jean-Baptiste Lully (1632-1687),
«Arcadie», nn. 172-174, aprile-giugno 1968, pp. 163-170,
229-235 e 289-297, e M. Lever, Les buchers de Sodome.
Histoire des infames, Paris, Fayard, 1985.
[52] Spunti
interessanti in R. M. Isherwood, La musica al servizio
del re. Francia: XVII secolo (1973), Bologna, Il Mulino,
1988; in particolare, cfr. la citazione di Nicolas Goulas
(p. 145) e altre considerazioni a p. 223 sgg.
[53] Per un primo
generale approccio, cfr. Allombra delle fanciulle in
fiore. La musica in Francia nelletà di Proust, a cura
di C. de Incontrera, Trieste, Stella, 1987; sul salotto
Polignac, cfr. M. de Cossart The Food of Love: Princesse
Edmond de Polignac and Her Salon, London, Hamish
Hamilton, 1978; su Diaghilev, cfr. K. Kopelson, The Queer
Afterlife of Vaslav Nijinsky, Stanford, Stanford University
Press, 1997. Sulla danza e lomosessualità la bibliografia
è ormai ragguardevole; per una prospettiva teorica, cfr.
J. L. Hanna, Patterns of Dominance: Men, Women, and
Homosexuality in Dance, «The Drama Review», XXXI, n. 2,
1987, pp. 22-47, e B. Ramsay, The Male Dancer:
Bodies, Spectacle, Sexualities, New York - London, Routledge,
1995.
[54] Portavoce di
queste teorie, che godono di più convinto apprezzamento fra le
studiose (come ben sottolinea lintroduzione a Genere. La
costruzione sociale del femminile e del maschile cit.), è
soprattutto la già citata Butler, Gender Trouble cit., ed
Ead., Bodies That Matter cit. Osservazioni sul dualismo in
musica si trovano poi in L. Treitler, Gender and Other
Dualities of Music History, in Musicology and Difference
cit., pp. 23-45, e S. G. Cusick, Gendering Modern
Music: Thoughts on the Monteverdi-Artusi Controversy,
«Journal of the American Musicological Society», XLVI, 1993,
pp. 1-25.
[55] Cfr. N. Treadwell, Female Operatic
Cross-Dressing: Bernardo Saddumenes Libretto for Leonardo
Vincis Li zite n galera (1722),
«Cambridge Opera Journal», X, 1998, pp. 131-156.
[56] Ci si perdoni
lelenco un po arido e del tutto incompleto; ma nel
segnalare la vastità del fenomeno, speriamo di poter offrire un
primo punto di partenza a chi abbia voglia di fare ricerche più
approfondite:
(a)
Orazio Persiani, Le nozze di Teti e Peleo, 1639; Aurelio
Aureli, Erismena, 1655; Giovanni Andrea Moniglia, Semirami,
1667; Camillo Badoer, Sesto Tarquinio, 1679; Giulio Cesare
Corradi, La Gierusalemme liberata, 1687 Aureli, Eliogabalo,
1668; Matteo Noris, Galieno, 1676;
(b)
Vincenzo Nolfi, Bellerofonte, 1642 (con un fraintendimento
lesbico); Giovanni Faustini, La Calisto, 1651; Francesco
Maria Piccioli, Messalina, 1679; Sigismondo Capece, Tetide
in Sciro, 1712 Faustini, La virtù de strali
dAmore, 1642; Aureli, Massimo Puppieno, 1684;
(c)
Scipione Errico, Deidamia, 1644; Faustini, LEuripo,
1649; Faustini, Doriclea, 1650; Giacinto Andrea Cicognini,
Orontea, 1656; Piccioli, Messalina, 1679; Capece, Tetide
in Sciro, 1712 Faustini, LEuripo,
1649; Noris, Domiziano, 1673; Corradi, Linganno
regnante, 1688;
(d)
Gian Francesco Busenello, Lincoronazione di Poppea,
1643; Gio. Filippo Apolloni, La Dori, 1663; Giacomo
Francesco Bussani, Massenzio, 1673; Bussani, Giulio
Cesare in Egitto, 1677; Aureli, Massimo Puppieno, 1684
Capece, Tetide in Sciro, 1712;
(e)
Faustini, LEupatra, 1655; Nicolò Minato, LAntioco,
1658; Minato, Elena, 1659; Apolloni, La Dori, 1657
Faustini, LEritrea, 1652; Minato, Artemisia,
1656; Aureli, La costanza di Rosmonda, 1659; Beregani, Annibale
in Capua, 1661.
[57] Ben investigato in questo senso, anche da una
prospettiva filologica, il cross-dressing politicamente
eversivo dellIphide greca di Nicolò Minato: cfr. E. Sala,
Le metamorfosi di Ifide greca, in «Quel
novo Cario, quel divin Orfeo». Antonio Draghi da Rimini a Vienna,
atti del convegno internazionale, Rimini, 5-7 ottobre 1998, a
cura di E. Sala e D. Daolmi, Lucca, LIM, 2000,
pp. 61-98.
[58] Nonché
evidentemente il caso di Semiramide, che oggi conosciamo
soprattutto nella versione rossiniana, ormai depurata dei vari
travestimenti. Per i cross-dressing di Semiramide, cfr. Heller,
The Queen As King cit., e la bibliografia ivi proposta a
p. 98 nota 11.
[59] M. Garber, Interessi truccati. Giochi di
travestimento e angoscia culturale (1992), Milano, Cortina,
1994, p. 19
[60] Cfr. A. Manfredini,
Qui commutant cum feminis vestem, «Revue internationale
des Droits de lAntiquité», s. III, XXII, 1985,
pp. 257-271.
[61] Gli studi su
questi aspetti, soprattutto dal punto di vista giuridico, sono
numerosi, ma resta da compilare un elenco ragionato. Anche Garber,
Interessi truccati cit., limita linquadramento
storico a poche pagine (cap. I) e non propone una
bibliografia adeguata.
[62]
Sullopera, il mito e i risvolti omosessuali, cfr. G. DallOrto,
Orsa cerca Orsa
, «Babilonia», n. 137, ottobre
1995, pp. 68-70.
[63] Qui, fra
numerosi episodi equivoci, cè quello di Sulpizia che,
innamorata di Flavio, si arruola nel suo esercito come Delio.
Flavio è attratto da Delio che, feritosi, viene personalmente
curato dal comandante. Ormai convinta di aver suscitato
lamore di Flavio, Sulpizia si rivela. Al grido di «Femina
Delio? Che miro!» Flavio fugge (e Sulpizia, in un momento di
comicità surreale, decide di reindossare larmatura per
tornare nelle grazie di Flavio).
[64] Deidamia, che teme gli uomini, sinnamora
di Filarte, che in realtà è Antiope; al disvelamento, Deidamia
comprenderà la ragione del suo trasporto: Filarte non è un
uomo, e lei potrà lanciare le braccia al collo della compagna.
[65] Fenomeno simile
è quello della pazzia (come afferma Foucault,
lomosessualità è una forma di pazzia). Dellilarità
suscitata dalle scene di follia capaci di «far precipitare
temporaneamente una parte nobile a livello comico» accenna Fabbri,
Il secolo cantante cit., p. 99 sgg.
[66] J. Rosselli,
Il cantante dopera. Storia di una professione
(1600-1990), Bologna, Il Mulino, 1993, p. 69; il
cap. II (pp. 45-78), dedicato ai castrati, riprende e
compendia un saggio precedente: The Castrati As a Professional
Group and a Social Phenomenon, 1550-1850, «Acta
Musicologica», LX, 1988, pp. 143-179.
[67] Almeno dopo
A. Heriot, I castrati nel teatro dopera (1956),
Milano, Rizzoli, 1962, non cè studio sui castrati,
scientifico o aneddotico, che non abbia fatto un cenno alla loro
ipotetica omosessualità (quasi una storia aneddotica della
sodomia è il caso limite di A. G. Bragaglia, Degli
evirati cantori, Firenze, Sansoni, 1959).
[68] Rosselli, Il
cantante dopera cit., mette in relazione tale accusa
con l«ambiguità con cui i gruppi dominanti della società
europea hanno volta a volta guardato ai gruppi creduti inferiori
ma che apparivano in qualche modo potenti o affascinanti
gli ebrei, per esempio, o le donne» (p. 67). Anche
H. Mayer, I diversi (1975), Milano, Garzanti, 1977,
prende in considerazione tre rappresentazioni archetipiche della
diversità: le donne, gli omosessuali, gli ebrei.
[69] Dei libelli
contro i castrati italiani pubblicati a Parigi durante la Fronda
del 1648 dà notizia Isherwood, La musica cit.,
p. 145 sgg. In Italia larma dellomosessualità,
seppur non frequentissima, veniva usata dai detrattori di un
teatro dopera giudicato lascivo: tali erano i toni violenti
di Salvator Rosa o quelli più divertiti (eppur sintomo di
pregiudizio) di B. Marcello, Il teatro alla moda
(1720), a cura di A. dAngeli, Milano, Ricordi, 1956,
soprattutto p. 30 sg. Leffeminatezza qui presa
di mira, non propriamente sinonimo di omosessualità, è
coerentemente riconducibile allanalisi di Gilman (vedi di
seguito). Anche nella Spagna del secolo successivo
lomosessualità (in questo caso di un impresario) diventa
pretesto per fomentare lostilità verso lopera
italiana (cfr. C. Rodríguez Suso, La trastienda de la
Ilustración. El empresario Nicola Setaro y la ópera italiana en
España, questa rivista, V, 1998, pp. 215-268).
[70] Cfr. T. S.
Gilman, The Italian (Castrato) in London, in The Work
of Opera cit., pp. 49-70.
[71] Gilman elenca
vari casi, ben documentati nelle cronache, in cui aristocratiche
in vista persero la testa per i castrati italiani.
Paradossalmente era proprio questo uno degli elementi da cui
muoveva laccusa di omosessualità. Il castrato infatti
poteva rivelarsi più appetibile del maschio britannico solo
perché era animale lascivo e perverso, e pertanto capace di
ribaltare i gusti sessuali del suo pubblico, sia maschile (come
denunciano gli scritti coevi di John Dennis) sia femminile
(linsorgere del desiderio sessuale e la ricerca di
appagamento sono giudicati tanto maschili da
suggerire la surreale satira anonima del 1723 in cui una tal
Prudentia, ascoltando il castrato Senesino, scopre
dimprovviso fra le sue virginee gambe che «the monster
bolder grows», lerezione sformandole lormai
inadeguata veste). Il binomio italiano/sodomita era
poi diffusissimo nellInghilterra dellepoca
«Lust chose the torrid zone of Italy | Where blood ferments in
rapes and sodomy» (il vizio predilige le torride regioni
dItalia dove il sangue eccita alla violenza e alla
sodomia), scriveva Daniel Defoe nel 1700 , anche in
relazione alla licenziosità sessuale che si attribuiva più o
meno a ragione alle gerarchie ecclesiastiche di Roma (non
stupisce che gli anglicani accusassero i cattolici di sodomia;
cfr. sopra, nota 7). In ultimo la finzione del teatro concede
cittadinanza allomosessualità, allora come oggi, non solo
sulla scena ma anche fra gli attori. SullInghilterra
settecentesca, cfr. K. Straub, Sexual Suspects:
Eighteenth-Century Players and Sexual Ideology, Princeton,
Princeton University Press, 1992. Ancora sullidentità
sessuale e nazionale dellopera italiana a Londra in questi
anni, cfr. Th. McGeary, Warbling Eunuchs: Opera, Gender
and Sexuality on the London Stage, 1705-1742, «Restoration
and 18th-Century Theatre Research», VII, 1992, pp. 1-22; Id.,
Gendering Opera: Italian Opera As the Feminine Other in
Britain, 1700-42, «Journal of Musicological Research», XIV,
1994, pp. 17-34; Id., Farinelli in Madrid: Opera,
Politics, and the War of Jenkins Ear, «Musical
Quarterly», LXXXII, 1998, pp. 383-421, e S. Aspden, «An
Infinity of Factions»: Opera in Eighteenth-Century Britain and
the Undoing of Society, «Cambridge Opera Journal», IX,
1997, pp. 1-19.
[72] La convincente
contrapposizione proposta da Gilman trova conferme e
approfondimenti negli studi di J. G. A. Pocock, The
Machiavellian Moment: Florentine Political Thought and the
Atlantic Republican Tradition, Princeton, Princeton
University Press, 1975, e L. Dowling, Hellenism and
Homosexuality in Victorian Oxford, Ithaca (N.Y.), Cornell
University Press, 1994. Unindagine sul libretto
dopera sei-settecentesco non farebbe che confermare questo
dualismo. Ad apertura del Giasone di Cicognini e Cavalli
(1649), probabilmente lopera più nota di tutto il
Seicento, Ercole è preoccupato per il «troppo molle effeminato
ingegno» di Giasone, che invece di prepararsi alla guerra pensa
a spassarsela con unincognita amante. È solo il caso di
osservare come la sensibilità moderna abbia in alcuni casi
confuso effeminatezza con innamoramento. Prima che innamorato,
leroe effeminato è colui che disattende il
bene della collettività (va da sé che la causa è lamore,
ma solo se inteso in modo egoistico: non è effeminato amare
qualcuno, è effeminato innamorarsi). I vari studi gender
che contrappongono con tanta disinvoltura maschile e
femminile nella cultura seicentesca dimenticano
talvolta che il senso di queste parole è mutato nei secoli.
[73] Il motivo per
cui il Traité (1707) ebbe più fortuna di altri scritti
simili è forse riconducibile alla seconda edizione (1758, con il
titolo Italian Love) della traduzione inglese (Eunuchism
Displayed, 1718), pubblicata con laggiunta di una
trentina di pagine di notizie sui castrati apparsi sulle scene
londinesi.
[74] D. Fernandez,
Il ratto di Ganimede (1989), Milano, Bompiani, 1991, p. 32.
[75] Un caso
emblematico: Goethe, notoriamente sensibile al fascino maschile,
è in imbarazzo a dover ammettere che anche per lui la seduzione
dei castrati è irresistibile (cit. in Heriot, I castrati nel
teatro dopera cit., p. 41). Per altro verso non si
può fare a meno di giudicare equivoco linteresse insistito
di Giacomo Casanova per i castrati (lamore giovanile per
Bellino non significherà altro?); gli stessi dodici libri di
avventure sentimentali sembrano quasi un monumento alla
costruzione della sua eterosessualità. Lepisodio del
castrato Giovannino, protetto dal cardinal Borghese, si scopre
pretestuoso perché il cardinale era morto da almeno tre anni.
Casanova vuol inserirlo ugualmente per ribadire quanto i castrati
lo seducano solo sulla scena, non quotidianamente:
«perché si vedeva subito che era un uomo mutilato». Se non
fosse stato mutilato, avrebbe potuto suscitare interesse? Con una
battuta simile Wilde fu incarcerato per sodomia: «Lavete
baciato?» «Mio Dio, no! Era troppo brutto!». Sul punto
di licenziare queste bozze è apparso un interessante contributo
sul ruolo sociale del castrato nellancien régime:
cfr. S. Leopold, Not Sex but Pitch: Kastraten als
Liebhaber einmal über der Gürtellinie
betrachtet, in Provokation und Tradition. Ehrfahrungen mit
der alten Musik, a cura di H.-M. Linde e R. Rapp,
Stuttgart-Weimar, Metzler, 2000, pp. 219-240.
[76] Il fenomeno
risulta evidente nella trasformazione dei principii educativi dei
collegi nobiliari (maschili). Il ballo, che tanto ruolo aveva
nella formazione del rampollo settecentesco, poco a poco viene
allontanato come effeminato e disdicevole; le stesse
rappresentazioni scolastiche prima eliminano i ruoli femminili
(necessariamente en travesti e perciò già causa di vizio
per il padre D. Concina, De teatri moderni,
Roma, Barbiellini, 1755, l. I, cap. iii e iv,
pp. 25-43, e ix, p. 91 sgg.), poi tutti i costumi di
scena e, nei primi anni dellOttocento, lintero
spettacolo (cfr. in merito D. Daolmi, I balli negli
allestimenti settecenteschi del Collegio Imperiale Longone,
in Creature di Prometeo, a cura di G. Morelli,
Firenze, L. S. Olschki, 1996, pp. 3-86: 23-28).
[77] W. Bashant,
Singing in Greek Drag: Gluck, Berlioz, George Eliot, in En
Travesti cit., pp. 216-241, sulla scia degli spunti di
E. Wood, Sapphonics, in Queering the Pitch
cit., pp. 27-66: 29, a sua volta rimasticati in F. Miller,
Farinellis Electronic Hermaphrodite and the Contralto
Tradition, in The Work of Opera cit., pp. 73-92:
88-90, non si perita di giudicare il lavoro di Gluck «one of the
queerest operas» (pp. 216 e 222), almeno bontà sua
fra le opere a lei note. Limpressione è che non
siano molte altre però le opere che lautrice conosce, se
per lei indecisa fra laccogliere o il rifiutare
limmaginario omosessuale mitologico le
peculiarità queer scaturiscono
sostanzialmente dalla sessualità indifferenziata del registro
vocale di Orfeo, pensato per il castrato Guadagni e modernamente
interpretato en travesti; soluzione del tutto scontata in
quasi tutto il repertorio barocco. Più interessante è la
seconda parte dellarticolo, che, attraverso gli occhi della
scrittrice George Eliot, accenna alle difficoltà che tale
ambiguità sessuale aveva causato al recupero ottocentesco
dellopera di Gluck.
[78] Cfr. D. Keyser,
Cross-Sexual Casting in Baroque Opera: Musical and Theoretical
Conventions, «Opera Quarterly», V, n. 4, 1988,
pp. 49-62; J. Dame, Unveiled Voices: Sexual
Difference and the Castrato, in Queering the Pitch
cit., pp. 139-153, e Miller, Farinellis Electronic
Hermaphrodite cit..
[79] Così si
esprime p. es. il barone di Montesquieu: «Nulla infatti
(che io sappia) ispira più lamore filosofico ai romani» (Ch.-L.
de Montesquieu, Viaggio in Italia [1728], a cura di
G. Macchia e M. Colesanti, Bari, Laterza, 1990,
p. 164 sg., già noto in parte a G. Monaldi, Cantanti
evirati celebri del teatro italiano, Roma, Ausonia, 1920,
p. 33, e Bragaglia, Evirati cantori cit.,
p. 44). Più sfumata ma identica nei contenuti è
losservazione in Ch. de Brosses, Viaggio in Italia.
Lettere familiari (1739-40), a cura di G. Natoli, 3a
ed., Bari, Laterza, 1992, p. 586. E ancora nella stessa
direzione è il commento di Casanova riferito al castrato
Giovanni Osti; cfr. G. Casanova, Storia della mia vita (1791-98),
a cura di P. Chiara, Milano, Mondadori, 1964-65, IV, p. 336.
[80] Casanova, Storia
della mia vita cit., IV, p. 337. La stessa idea era
stata espressa anni prima da Calzabigi nella Lulliade (scritto
del 1753-1789 che ripetutamente si occupa di omosessualità):
cfr. G. Muresu, La ragione dei buffoni,
Roma, Bulzoni, 1977, p. 308. È da dire che proprio negli
anni parigini che videro la prima stesura della Lulliade
Calzabigi era in stretto contatto con Casanova, e non è
improbabile che tale opinione fosse stata oggetto di qualche loro
conversazione.
[81] Già nel 1632
Jean-Jacques Bouchard, presente ad una rappresentazione romana,
non poteva fare a meno di notare che «in sala non si sentivano
che vaghi sospiri mossi da desiderio e ammirazione
e i
cardinali S. Giorgio e Aldobrandini con le labbra protese
invitavano ai baci con ripetuti e sonori schiocchi questi
effeminati attori» (il Journal di Bouchard è cit. in Bragaglia,
Evirati cantori cit., p. 30). Centocinquantanni
dopo latteggiamento non sembra mutato, se G. Gorani, Mémoirs
secrets et critiques des cours, des gouvernemens et des
murs des principaux États de lItalie, Paris,
Buisson, 1793, nel capitolo intitolato La surprise (II,
pp. 305-319) si dilunga su «le péché noble, le péché
gentil» tanto diffuso fra gli alti ecclesiastici romani e tanto
esibito a teatro nella protezione da essi concessa a castrati
dalla dubbia moralità.
[82] D. Fernandez,
Porporino, o I misteri di Napoli (1974), trad. di A. Rosso
Cattabiani, Milano, Rusconi, 1976, p. 122 sg.
[83] Rosselli, Il
cantante dopera cit., p. 67. Il passo (cit. per
esteso in Rosselli,Castrati As a Professional Group cit.,
p. 174 nota 116) è tratto dallHistoria musica di
G. A. Angelini Bontempi, del 1695.
[84] Sulla figura di
Achille e sulluso del travestimento, cfr. W. Heller, Reforming
Achilles: Gender, Opera Seria and the Rhetoric of the Enlightened
Hero, «Early Music», XXVI, 1998, pp. 562-581.
[85] Siamo grati a
Marco Emanuele per averci messo a disposizione le notizie sulla
recezione censurata dellAchille in Sciro. La
versione in genovese è ora in Achille in Sciro. Parodia in
tre atti, a cura di A. F. Ivaldi, Genova, Le Mani, 1998.
[86] Sulle reazioni
al Do di petto nellOttocento, cfr. M. Beghelli, Il
Do di petto. Dissacrazione di un mito, questa
rivista, III, 1996, pp. 105-149.
[87] Su un diverso
tipo di persistenza delle ambiguità dellopera
settecentesca nellOttocento, cfr. R. Cowgill, Re-gendering
the Libertine; Or, The Taming of the Rake: Lucy Vestris As Don
Giovanni on the Early Nineteenth-Century London Stage,
«Cambridge Opera Journal», X, 1998, pp. 45-66.
[88] Così il tenore
Antonio de Val in una lettera del 24 agosto 1843 a Guglielmo
Brenna, segretario del Teatro La Fenice, citata in M. Conati,
La bottega della musica. Verdi e la Fenice, Milano, Il
Saggiatore, 1983, p. 70.
[89] M. Reynolds,
Ruggieros Deceptions, Cherubinos Distractions,
in En Travesti cit., pp. 132-151, offre spunti
interessanti, seppur funestati da troppe imprecisioni.
[90] Robert de
Montesquiou, il modello primario per il personaggio proustiano di
Charlus nonché noto omosessuale parigino, pubblicò sul
periodico «Le Théâtre» (n. 211, giugno 1911) una lunga
recensione al Martyre intitolata Larchange
dor, ou Larcher percé de ses flèches: vi
emergono in nuce i temi che faranno di san Sebastiano una
delle più importanti icone gay del 900, da Yukio Mishima a
Derek Jarman: in primo luogo proprio limmagine del corpo
quasi completamente nudo penetrato dalle frecce (voluto,
ovviamente, il doppio senso). Le numerose immagini che
accompagnano lo scritto di Montesquiou sono a questo proposito
piuttosto eloquenti (un ringraziamento a Stefania Filippi per
averci procurato una copia della recensione). Ma non è
improbabile che dAnnunzio avesse tratto spunto dalle
osservazioni di G. Éekhoud, Saint Sébastien dans la peinture,
«Akademos», I, 1909, pp. 171-175. Sulla evoluzione di san
Sebastiano quale icona gay, cfr. lassai documentato
K. Ressouni-Demigneux, La chair et la flèche. Le regard
homosexuel sur saint Sébastien tel quil etait representé
en Italie autour de 1500, Mémoire de Maîtrise, Université
Paris I (Panthéon-Sorbonne), 1996 (attualmente reperibile in
rete allindirizzo http://panoramix.univ-paris1.fr/UFR10/K/maitkarim.html).
[91] Per luso
(e insieme il rifiuto) della tematica omosessuale in Dalibor,
cfr. D. Daolmi, Dalibor, eroe in terra di Boemia, in Dalibor,
programma di sala, Teatro Lirico di Cagliari, 1998,
pp. 12-37.
[92] E. K.
Sedgwick, Between Men: English Literature and Male Homosocial
Desire, New York, Columbia University Press, 1985,
p. 105 sg.
[93] Si pensi a Jules
et Jim di Henri-Pierre Roché, più noto nella versione
cinematografica di Truffaut (1961).
[94] Cfr. Castle, The
Apparitional Lesbian cit., pp. 66-91: Sylvia Townsend
Warner and the Counterplot of Lesbian Fiction.
[95] Ancora una
volta dobbiamo ringraziare Marco Emanuele per avere condiviso con
noi le sue ricerche inedite sulle amicizie operistiche.
[96] R. Parker,
On Reaching the Beguiled Shore, nel suo Leonoras
Last Act: Essays in Verdian Discourse, Princeton, Princeton
University Press, 1997, pp. 3-19: 19.
[97] Cfr. P. J. Smith, «O patria mia»: Female Homosociality and the Gendered Nation in Bellinis Norma and Verdis Aida, in The Work of Opera cit., pp. 93-114.
[98] Cfr. J.-J.
Nattiez, Wagner androgino. Saggio sullinterpretazione
(1990), Torino, Einaudi, 1997.
[99] Cfr. M. Morris,
Tristans Wounds: Homosexual Wagnerians in the
Fin-de-Siècle, in Secret Passages: Music, Modernism, and
Sexuality, a cura di Ll. Whitesell e S. Fuller, in
corso di pubblicazione.
[100] Cfr. L. Hutcheon
- M. Hutcheon, Opera: Desire, Disease, Death,
Lincoln, University of Nebraska Press, 1996, pp. 130-133. Lo
stesso Mann distingue fra la sifilide eterosessuale
di Leverkühn nel Doktor Faustus e il colera
omosessuale di Aschenbach in Tod in Venedig.
[101] Esattamente
quello che càpita (o capitava fino a pochi anni fa) sugli
schermi cinematografici: cfr. Russo, Lo schermo velato
cit., pp. 327-329. Per un discorso sullomosessualità
e la malattia (nello specifico in relazione allAIDS, ma non
solo), cfr. S. Sontag, LAIDS e le sue metafore
(1989), Torino, Einaudi, 1989.
[102] La bibliografia
è sostanziosa: cfr. almeno Cl. Hindley, Contemplation
and Reality: A Study in Brittens Death in
Venice, «Music & Letters», LXXI, 1990,
pp. 511-523, e Id., Platonic Elements in Brittens
Death in Venice, ivi, LXXIII, 1992,
pp. 407-429; Hutcheon-Hutcheon, Opera: Desire, Disease,
Death cit., pp. 133-149, e D. Fischlin, «Eros
Is in the Word»: Music, Homoerotic Desire, and the
Psychopathology of Fascism, Or The «Strangely Fruitful
Intercourse» of Thomas Mann and Benjamin Britten, in The
Work of Opera cit., pp. 209-233; per una recente sintesi
in italiano, cfr. B. Diana, Il sapore della conoscenza.
Benjamin Britten e Death in Venice, Torino, De
Sono - Paravia, 1997.
[103] Cfr. M. Morris,
Admiring the Countess Geschwitz, in En Travesti
cit., pp. 348-370. Per una diversa interpretazione, che
rimprovera a Berg di non aver offerto un queer role model
positivo, cfr. S. Abel, Opera in the Flesh: Sexuality in
Operatic Performance, Boulder, Westview Press, 1996,
p. 73 sg.
[104] La bibliografia
è molto ampia, ma sono fondamentali Ph. Brett, Brittens
Dream, in Musicology and Difference cit.,
pp. 259-280, e Id., Eros and Orientalism in
Brittens Operas, in Queering the Pitch cit., pp. 235-256;
su Peter Grimes, cfr. Id., Benjamin Britten:
Peter Grimes, Cambridge, Cambridge University
Press, 1983; su Albert Herring, cfr. Cl. Hindley, Not
the Marrying Kind: Brittens Albert Herring,
«Cambridge Opera Journal», VI, 1994, pp. 159-174; su Billy
Budd, cfr. Ph. Brett, Salvation at Sea: Billy
Budd, in The Britten Companion, a cura di
Chr. Palmer, London, Faber, 1984, pp. 133-143; sul
Turn of the Screw, cfr. Cl. Hindley, Why Does Miles
Die? A Study of Brittens The Turn of the Screw,
«The Musical Quarterly», XLIV, 1990, pp. 1-17, e la
risposta di Ph. Brett, Brittens Bad Boys: Male
Relations in The Turn of the Screw,
«Repercussions», I, n. 2, 1992, pp. 5-25; su Owen
Wingrave, cfr. St. McClatchie, Benjamin
Britten,Owen Wingrave and the Politics of the Closet:
Or, «He Shall Be Straightened Out at Paramore», «Cambridge
Opera Journal», VIII, 1996, pp. 59-75.
[105] Cfr. Wood, Sapphonics
cit., ed Ead., The Lesbian in the Opera: Desire Unmasked in
Smyths Fantasio and Fête Galante,
in En Travesti cit., pp. 285-305.
[106] Cfr. Fernandez,
Il ratto di Ganimede cit., pp. 210-213, e R. Aldrich,
The Seduction of the Mediterranean: Writing, Art, and
Homosexual Fantasy, New York - London, Routledge, 1993,
pp. 199-122.
[107] La questione si
fa ancor più spinosa per il repertorio dei secoli precedenti:
probabilmente il contributo del privato del compositore è minimo
in un sistema che non concepisce lopera darte come
espressione della soggettività dellautore. Daltra
parte la commozione particolarmente intensa che la musica esprime
nella scena della morte dellamico in David et Jonathas
di Marc-Antoine Charpentier (1688), o linsistenza sul tema
di un amore che non può esistere in Anacréon di Luigi
Cherubini (1803), induce a credere che il privato a volte riesca
a trasparire. Un discorso certamente più facile si potrebbe fare
a proposito dei librettisti, ma in genere di questi è poco nota
la vicenda biografica (che si sappia che Charles Jennens,
lautore del Messiah händeliano, fosse omosessuale,
è poco meno che un caso fortuito).
[108] Sul rapporto
tra il teatro bussottiano e leros, cfr. G. La Face, Teatro,
eros e segno nellopera di Sylvano Bussotti, «Rivista
italiana di Musicologia», IX, 1974, pp. 250-268.
[109] Cfr. P. J.
Smith, «Gli enigmi sono tre»: The (D)evolution of Turandot,
Lesbian Monster, in En Travesti cit.,
pp. 242-284.
[110] Testimonianza
dello spettacolo e di quegli anni è il volume La traviata
norma. Ovvero: vaffanculo
ebbene sì!, a cura del
Collettivo Nostra Signora dei Fiori, Milano,
LErba Voglio, 1977.
[111] «Ed è tutta
una generazione ventenne che ha preso questa stessa strada ignota
ai padri e agli zii» (A. Arbasino, Lanonimo
lombardo, 2a ed., Torino, Einaudi, 1973,
p. 100).
[112] Ivi,
p. 105 sg.
[113] Cfr. D. Daolmi,
E Dio creò le melochecche, «Babilonia», n. 140, 1996,
pp. 12-15.
[114] Cfr. Kopelson, Metropolitan
Opera cit., e M. Morris, Reading As an Opera Queen,
in Musicology and Difference cit., pp. 184-200.
[115] Per esempio il
numero quasi monografico di «Christopher Street», 69, October
1982.
[116] Ora in T. McNally,
Three Plays, New York, Plume, 1990, da cui lo spunto per
altre pubblicazioni, come il romanzo di Ethan Mordden, The
Venice Adriana (1998), già nel titolo evidente
derivazione da McNally; cfr. il riferimento in Morris, Reading
As an Opera Queen cit., p. 189 sgg. La traviata di
Lisbona fu data anche a Roma nellottobre 1995 con la
regìa di Marco Mattolini nellambito della rassegna
teatrale gay Il garofano verde.
[117] Che alcune zone
delledificio teatrale (in genere loggione o galleria)
fossero luogo privilegiato dove consumare incontri occasionali
pare testimoniato fin dal Settecento (cfr. N. Mangini,
voce Casanova Giacomo, in Dizionario
biografico degli Italiani, XXI, 1978, pp. 154-166: 162)
ed è stato vero in molti teatri italiani fino a pochi anni fa.
[118] «Finché
ledificio in cui si rappresenta lopera fornisce un
luogo un closet, potremmo dire in cui lo
spirito può librarsi, sembra che le ingiustizie di tutti i
giorni abbiano assai meno importanza. Questa separazione tra lo
spazio fisico del teatro e il mondo esterno riesce a
neutralizzare il possibile disagio suscitato delle
interpretazioni trasversali che vogliono queer
lopera» (Morris, Reading As an Opera Queen cit.,
p. 186). La cultura angloamericana identifica nel closet
(la cabina armadio, il luogo del privato) quello stato
psicofisico e mentale in cui lomosessuale è consapevole
del proprio desiderio ma non lo vive (se non in situazioni
provvisorie) e soprattutto non ha ancora dichiarato la propria
omosessualità (se non a pochi amici gay). Da qui la formula
comunissima to come out of the closet, venir
fuori dallarmadio, ovvero dichiarare la propria
omosessualità.
[119] Cfr. Kopelson, Metropolitan
Opera cit.
[120] «Temevo che la
mia storia damore con il-ragazzo-della-porta-accanto
potesse finire in qualunque momento e che mi sarei trasformato in
Donna Elvira che piange per la strada. Solo chi è stato
abbandonato ha il diritto di parlare dei propri amori illegittimi
... Sono entrato nella coscienza vocale di una donna che può
cantare col corpo la propria vita erotica proprio perché è
stata abbandonata» (Koestenbaum, The Queens Throat
cit., p. 206).
[121] «Il dolore di
Didone il suo rinunciare alla vita, il suo manifestare la
voglia di morire di fronte a unammutolita Belinda è
queer perché è ugualmente irremovibile e fragile ... e
crediamo in Belinda, là ferma, fedele fin dallinizio, che
non ha altro di meglio da fare a Cartagine che tenere la mano
della regina...» (ivi, p. 234). Per
unappropriazione in chiave lesbica del Dido and Aeneas
di Purcell, cfr. J. A. Peraino, I Am an Opera:
Identifying with Henry Purcells Dido and Aeneas,
in En Travesti cit., pp. 99-131.
[122] Cfr. Morris, Reading
As an Opera Queen cit.
[123] Cfr. Robinson, The
Opera Queen cit.
[124] «Canto
il corpo elettrico come dice Walt Whitman, la più grande opera
queen americana del secolo XIX. Questa elettricità, sono
persuaso, è sublimazione o spostamento in alto (come amano dire
i freudiani) delle vibrazioni del corpo e dei fremiti
dellatto sessuale» (ivi, p. 288). Koestenbaum,
The Queens Throat cit., p. 156, ritiene di
dover precisare: «La gola per i gay è preoccupazione e gioia:
è luogo della fellatio. Non che tutti la pratichino:
lomosessualità non è legata al sesso orale, che
appartiene anche gli eterosessuali. Ma la sessualità, come
sistema simbolico di pesi e contrappesi, misure e contromisure,
ha scelto la gola come luogo in cui gli omosessuali trovano sé
stessi [come into their own]»; la frase è poi ripresa in
Robinson, The Opera Queen cit., p. 288, qui mediata
da Freud e Fliess.
[125] Cfr. B. Fink,
The Lacanian Subject: Between Language and Jouissance,
Princeton, Princeton University Press, 1997.
[126] È
significativo che la lunga trascrizione delle opinioni di
melomani in fila al botteghino del Palais Garnier nel saggio Le
cri de lange non affronti mai di petto tematiche
omosessuali, che tuttavia affiorano numerose, a mo di un
sottotesto; lunico caso esplicito è Claude, uno degli
intervistati, che riconosce una predilezione gay, almeno come
luogo comune, nella frequentazione del teatro dopera (cfr.
M. Poizat, Lopéra, ou Le cri de lange. Essai
sur la jouissance de lamateur dopéra, Paris,
Métailié, 1986, p. 20, e Id., La voix du diable. La
jouissance lyrique sacrée, Paris, Métailié, 1990).
[127] Che lo
spettacolo operistico sia soprattutto vocale è una
rivendicazione ribadita da Koestenbaum in un recente articolo,
quasi unappendice a Queens Throat, dove
lamenta la direzione visiva che ha preso
lopera: «Credo che abbiamo bisogno, più che di opere
gay o lesbiche, di opere su come la
sessualità odierna sia stata relegata nel regno della retina,
del visibile, dellevidente. La sessualità operistica è
propria dellorecchio. Che cosa accadrebbe se provassimo a
rappresentare uditivamente le sessualità del visibile? Non è
forse la sessualità visibile lunica che la cultura può
consumare e produrre?» (W. Koestenbaum, A Fans
Apostasy, «University of Toronto Quarterly», LXVII, 1998,
pp. 828-840: 839).
[128] Sulla scorta di
M. F. Castarède, La voix et ses sortilèges, Paris,
Les Belles Lettres, 1987.
[129] Sulla presenza
omosessuale nel mondo della musica, non solo operistica, e
soprattutto statunitense, sono stati pubblicati due libri,
J. Gill, Queer Noises: Male and Female Homosexuality in
Twentieth-Century Music, London, Cassell, 1995, e B. Hadleigh,
Sing Out!: Gays and Lesbians in the Music World, 2a
ed., London, Robson, 1998, ben lontani da qualunque pretesa di
scientificità.
[130] Il periodico è
parzialmente consultabile anche in rete, allindirizzo www.parterre.com.
[131] Il tema
ricorre. Marco Beghelli, nel suo Erotismo canoro (in
questo stesso numero del «Saggiatore musicale»), giustamente
osserva: «Il divo tenorile di fine millennio, in teatro come
sulle copertine dei dischi, non perde occasione per esibire
calcolatamente il suo maschio petto argentino, qualunque sia il
personaggio interpretato»; in questo caso il riferimento non è
a Daniels (più probabilmente a José Cura), ma il meccanismo non
cambia.